Don DeLillo - Underworld
Quante cose si potrebbero scrivere su Underworld! La malinconia e il vuoto che la genera, il ricordo come fondamento di intere esistenze che va insieme alla rimozione sistematica del passato, l'eterna ricerca di un padre perduto e l'omologazione asettica dei sentimenti, la violenza nell'epoca della sua riproducibilità mediatica e l'arte come redenzione personale e misterioso atto politico. Mi piacerebbe riuscire a riassumere in un discorso sensato il cumulo di suggestioni che un libro come questo si porta dietro, purtroppo vi dovete accontentare di queste poche note a margine (però potete sempre leggervi il romanzo, eh!).
La vena malinconica e la quieta rassegnazione che percorrono tutto il testo sono a mio avviso il primo gancio per legare indissolubilmente il lettore all'assenza che sta al cuore di Underworld. Il viaggio nella memoria collettiva americana alla ricerca di ciò che è andato perduto lungo la strada è una delle possibili chiavi di lettura del romanzo. La scrittura di DeLillo è densa, ritmata, fluida e potente: l'ideale per scandire il percorso del lettore a ritroso nel tempo, perfetta per suggerire le progressive rimozioni personali (di sentimenti, di passioni e di significati) e per rivelare la trasformazione della ricchezza apparente in scarti e rifiuti (l'essenza distillata del sogno americano). Illuminante in questo senso la visione della montagna di immondizia - che è anche e soprattutto cumulo di ricordi a perdere - a dominare il panorama nel tramonto della East Coast. Poco importa se la ricerca della singolarità storica che ha prodotto il nostro presente ha come unico risultato l'impossibilità di dare un senso compiuto al tempo trascorso. In fondo la sopravvivenza sembra essere l'unica aspettativa, quasi una speranza.
Un altro tratto forte di Underworld - sovrastimato, forse, a causa della cronaca quotidiana di sbarchi e respingimenti dei giorni in cui lo leggevo - è il suo essere anche romanzo di formazione e di immigrazione, di omologazione e rinuncia. Con la ricchezza di odori e sapori (e di lingua e di relazioni) della piccola Italia di New York che si stempera nell'omogeneità forzata del monoblocco ideologico statunitense, basato sulla paura (della bomba prima, della degenerazione urbana poi), esaltato dall'abbondanza generalizzata di merce e intrattenimento.
Ma, come dicevo più sopra, i motivi d'interesse in un romanzo con una tale densità e profondità di scrittura sono davvero molteplici (e diversi per ogni lettore, credo). Del resto Underworld è un capolavoro. Un viaggio nel purgatorio americano in compagnia di self-made men e famiglie disgregate, di artisti visionari e suore feroci, di monomaniaci e manager dei rifiuti. Da leggere e rileggere.
Stephen J. Gould - Risplendi grande lucciola
Ognuno di noi ha il suo pantheon personale, un luogo virtuale dove ricordare i proprio eroi. Nel mio un posto sarà sempre riservato a Stephen J. Gould, scienziato americano, paleontologo e storico della scienza.
La mia conoscenza di Stephen J. Gould si limita a una manciata di testi, ma basta leggere uno qualsiasi dei suoi libri (per lo più, come nel caso di questo Risplendi grande lucciola, raccolte degli articoli che Gould ha pubblicato instancabilmente per quasi trent'anni) per rendersi conto della grandezza dell'uomo, della sua capacità di affrontare i più diversi argomenti con il piglio del vero scienziato, senza appoggiarsi ad alcuna verità rivelata, ma con la forza della ragione e un sano scetticismo, condito sempre con una buona dose di senso dell'umorismo.
Mi rendo conto che non sono molto obiettivo quando parlo di autori come Gould, ma provate a leggere un volume come Intelligenza e pregiudizio e poi forse condividerete il mio entusiasmo.
Charles Stross - Universo distorto
Molte idee ma confuse. Universo distorto è un concentrato di fantascienza per tutti i gusti, in poche decine di pagine si incontrano i temi classici del genere: dall'ucronia alla storia d'invasione, dall'avventura d'esplorazione alla space opera, dal primo contatto agli universi paralleli, il tutto frullato con un esagitato citazionismo pop (anche divertente, eh!) e una virata finale nella paranoia che è forse l'unica cosa seria del racconto.
Non so qual è stata la genesi di questa storia. L'impressione è che sia stato scritto come pastiche senza pretese, spingendo all'inverosimile sul pedale dell'immaginario di genere nel tentativo di arrivare là dove nessun uomo è mai giunto prima, giocando con omaggi e citazioni giusto per farsi qualche risata tra iniziati. In questa prospettiva Universo distorto può risultare godibile. A me però ha dato soprattutto l'idea di una gran confusione, un racconto-armadio con tanti brani interessanti gettati alla rinfusa a simulare un po' di ordine in casa, con un ospite importante già sulla soglia. Questo scorcio di universo Strossiano non è proprio da buttar via, meritava piuttosto ben altro approfondimento, un passaggio d'aspirapolvere e qualche giro al lavasecco. Che dite, chiamiamo la madre di Stross a tirargli le orecchie?
James E. Gunn - I fabbricanti di felicità
Perché mi ostino a leggere 'sto genere di romanzi? So già che alla fine ci rimango male, che qui e ora, XXI secolo, le ingenuità, i pregiudizi e la prosopopea di cui si alimentano queste storie sono decisamente indigesti. Il fatto è che mi piacerebbe almeno una volta rimanere stupito, e trovare qualche risposta sorprendente alle domande per nulla scontate e certo interessanti che animano questo genere di romanzi. Invece mi ritrovo con un altro libro di fantascienza d'epoca che, senza volerlo, racconta molto di più del clima socio-politico degli anni in cui è stato scritto che del futuro che vorrebbe anticipare.
Francesco Dimitri - La ragazza dei miei sogni
È qualche tempo che sento parlare di Francesco Dimitri e sempre in termini piuttosto lusinghieri. Molto di quello che ho letto rispetto alla sua attività di scrittore si riferisce a Pan, romanzo pubblicato nel 2008, ma neppure questo La ragazza dei miei sogni è stato trattato male da lettori e critica di genere (per quel che vale). Incuriosito da paragoni altisonanti (Gaiman, soprattutto) e dal fatto che a quanto pare Dimitri ha trovato un'originale via nazionale all'horror soprannaturale ho deciso di dargli una letta.
In effetti la La ragazza dei miei sogni è un buon romanzo. I personaggi sono credibili (vabbé, Dagon mica tanto, ma si sopravvive), l'emersione del soprannaturale nella vicenda è gestita in maniera sopraffina e la progressione narrativa non soffre di cali di tensione. La scrittura di Dimitri è sempre controllata, perfettamente calibrata sui vari stati d'animo del protagonista. La Roma piovosa e notturna che fa da sfondo alla vicenda è resa in maniera credibile ed è perfettamente funzionale al clima della vicenda.
Il problema è che a me 'ste storie di quasi trentenni sfigati e segaioli m'hanno ormai frantumato i cabasisi. Per quanto Dimitri ne La ragazza dei miei sogni sia assolutamente onesto e tratteggi in maniera credibile (e quindi ancor più insopportabile) il suo protagonista, io ormai questo genere di ambiente post-studentesco pseudo-universitario col contrasto fighetto/alternativo sempre sullo sfondo non lo reggo più. E per quanto la progressiva entrata in scena del soprannaturale sia davvero efficace, l'avrei apprezzata molto di più in un contesto diverso. Ma come dicevo il problema è mio, non del romanzo, e Dimitri mi ha lasciato con motivi più che sufficienti per voler leggere anche Pan.
Stephen King - La chiamata dei tre
Secondo capitolo de La torre nera, e nuove grandi soddisfazioni di lettura. A me pare che la qualità migliore di King sia la sua capacità incredibile di raccontare storie. Il potere della parola messa al servizio della narrazione, con niente (NIENTE!) di più importante dei personaggi, delle loro azioni e soprattutto dell'atmosfera e dell'ambiente che accoglie e sottolinea le loro relazioni.
Poco importa se alla fine la ripartizione in tre atti della vicenda risulta forse un po' troppo meccanica: gli incontri che si fanno accompagnando Roland nel suo cammino ripagano abbondantemente il rischio di scorgere dietro le quinte il telaio su cui King intesse la vicenda.
…
"Underworld" prima o poi lo leggerò. L'ho sempre visto come un libro che "leggono tutti bla bla bla", ma il tuo commento mi fa superare questi pregiudizi :)
RispondiEliminaDi Gould sto leggendo "Il sorriso del fenicottero", ma mi sono un po' arenato. Sarà perché vengo da milllle saggi consecutivi ed ho bisogno di una pausa, boh?
King, "La chiamata dei tre": lo ricordo con piacere, mi piacque più del precedente. Eppure con la Torre Nera non ce l'ho mai fatta.
Ah, settimana prossima vado a Berlino qualche giorno: se hai qualche consiglio su letture che si rifanno o sono ambientate laggiù, fammi un fischio :)
Su "Underworld" sono d'accordissimo. Il libro di Gunn ce l'ho li' da parte e ancora non l'ho letto, ma mi lascia' un po' cosi' la tua considerazione: non si dice sempre che la buona sf è quella che ci fa riflettere su di noi, e non quella che gioca all'indovino? Cioe', il discorso predittivo, preso alla lettera, e' irrilevante. Almeno, se ho inteso il tuo appunto...
RispondiEliminaE' la volta buona che leggo Underworld, Jo...
RispondiElimina@ Gianluca:
RispondiEliminaUnderworld: Anch'io sono parecchi snob verso i "libri che leggono tutti", e in effetti avevo il romanzo di DeLillo intonso in libreria già da un paio d'anni.
Poi non so cos'è successo, forse l'accenno giusto da parte di una persona fidata, forse qualche messaggio subliminale dalla rete, fatto sta che mi son dato un po' del coglione per non averlo letto prima.
Gould: in effetti leggere troppi saggi fa male! Devi assolutamente intervallarli con un po' di pulp, giusto per riequilibrare i neuroni.
La torre nera: è una bella sfida. Ho visto che le dimensioni del III e IV volume sono praticamente il doppio di quelle del secondo (che già di suo era il doppio del primo). Io comunque intanto li ho presi, che il momento per libri del genere arriva sempre.
Berlino: non saprei proprio. Di tedesco ho amato molto Heinrich Böll, ma è roba piuttosto vecchiotta, che tra l'altro con Berlino credo c'entri molto poco.
L'unico romanzo memorabile che ho letto ambientato da quelle parti è "Lettera a Berlino" di Ian McEwan. È un quasi-thriller ambientato ai tempi della costruzione del muro. Formidabile.
@ Niccolò: No no, 'spetta. Non ho detto il romanzo di Gunn non m'è piaciuto perché la parte predittiva non è credibile. Il difetto principale del romanzo sta semmai nell'incapacità dell'autore di riflettere in maniera originale (o almeno in modo stimolante o sorpendente) su "noi stessi". I suoi personaggi non riescono mai a cavarsi di dosso l'impressione di trovarsi nel solito setting urbano anglosassone anni '60, alla faccia dei cambiamenti epocali in cui si trovano immersi. (In effetti nella prima parte, ambientata in una realtà riconducile al presente, i personaggi risultano ancora credibili, è nel proseguio della vicenda che il tutto assume contorni involontariamente surreali)
Ma leggilo, così poi magari mi dici qual è la tua impressione.
@ BHS: leggilo, che nonostante le dimensioni siano magari poco invitanti, è davvero eccezionale!