17 gennaio 2008

Il mio nome è rosso


Khusrau Hunting
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Tears 4 the Ummah.
Probabilmente la metafora della lettura come viaggio è talmente abusata da aver perso ogni reale capacità evocativa, ma per questo post lasciatemela usare, che davvero non riesco a immaginare un sistema migliore per descrivere il mio incontro con Il mio nome è rosso del premio Nobel Orhan Pamuk. Immergersi nella Istanbul del 1591 descritta dall'autore turco è stato come partire per territori inesplorati, con la fatica del cammino che spesso si fa sentire ma anche con tutte le soddisfazioni e le disillusioni della scoperta, con la ricchezza che sempre c'è nell'incontro con lo straniero, ma con l'altrettanto sentita necessità di adattarsi alle abitudini locali.

Un altro forte riferimento che mi ha accompagnato per gran parte del tempo trascorso nei vicoli di Istanbul in compagnia dei numerosi personaggi del romanzo è stata la sensazioni di ritrovarmi tra le mani una sorta di versione ottomana de Il nome della rosa: in entrambi il romanzo storico, la ricostruzione dettagliata di aspetti minuti e particolari di un gruppo specifico di specialisti del tempo è insieme (re)visione del passato e indagine del presente, rievocazione e celebrazione di un'epoca fondamentale della Storia mescolata abilmente con la riflessione sull'oggi, con la necessità mai rimossa di dare un senso allo spirito del tempo.

Ma torniamo all'esperienza di lettura. Il mio nome è rosso non è un romanzo facile: la scrittura dell'autore richiede un costante impegno, l'approfondita messe di riferimenti al mondo islamico in generale e a quello dei miniaturisti in particolare offre spesso al lettore alieno a quel mondo un sovraccarico di informazioni non sempre agevole da assorbire. Calarsi completamente in una realtà i cui paradigmi fondamentali sono diversi dai propri offre la possibilità della rivelazione improvvisa ma comporta uno sforzo che non sempre nel romanzo è premiato. Vedi per esempio l'esilissima trama gialla che tiene insieme la vicenda, o il troppo non detto nei rapporti tra i protagonisti, siano essi gli "anziani" (lo zio, il capo dei miniaturisti) o gli altri (i miniaturisti, Nero, Sekure) come anche la difficoltà per il lettore nel riuscire a dare un viso o una voce distinta ai vari personaggi. Tutti aspetti che non sono necessariamente difetti, rispecchiando casomai anche nella scrittura il tema dominante del romanzo, ossia il confronto tra est e ovest, tra islam e miscredenti, tra l'arte decorativa orientale e la pittura occidentale.
Credo che l'autore abbia volutamente dato forma e corpo di antica miniatura a tutta quella che si potrebbe definire l'interfaccia immaginifica del romanzo. In questo senso risulta forse più comprensibile la riduzione dei personaggi a "tipi" piuttosto che a persone riconoscibili e tridimensionali, così come la brillante presenza di voci narranti altre rispetto a quelle di protagonisti della vicenda (dervisci erranti, colori, cavalli o altri animali), tutte presenze tipiche dell'arte miniaturista orientale.

Nonostante la fatica (o forse proprio grazie all'impegno speso) Il mio nome è rosso è un romanzo che non si scorda facilmente. Istanbul, l'impero ottomano, l'islam, assumono consistenza vera, terribile e meravigliosa. Dalla lettura si percepiscono fortissime le tensioni, le diversità e i contrasti che attraversano il mondo musulmano. Altrettanto potentemente emergono e rimangono impresse le figure femminili di questo oriente misconosciuto, creature emarginate dalla scena politica e sociale ma che dimostrano con la loro conoscenza dei segreti meccanismi della comunicazione tutta la loro forza, tutta la loro intransigente energia. Il mio nome è rosso è un romanzo in cui passato storico e tensioni del presente si fondono in maniera organica donando al lettore una sintesi credibile di una porzione del mondo islamico.
Ma l'opera di Orhan Pamuk è anche un brillante esempio di romanzo moderno, con i personaggi che dialogano con il lettore, ben consci della loro realtà narrativa, in cui anche i morti hanno un punto di vista, un'opera in cui si riflette (e molto) sul ruolo dell'autore. Un romanzo complesso quindi, come complesso è il mondo di cui narra.
Una lettura da consigliare a chi ha ancora voglia di esplorare mondi sconosciuti.


3 commenti:

  1. Senti ma... com'è che non l'hai postata sul Leggio questa bellissima recensione?
    Ah, ne approfitto per consigliarti Neve, se non l'hai ancora letto: tutt'altro mondo, l'unico romanzo politico di Pamuk, ma estremamente poetico, e a tratti anche ironico. Ci ho ritrovato tutta la Turchia che conosco, e anche qualcosa di più.

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  2. Ciao Selene!
    Grazie per il consiglio, ma direi che pure questo Il mio nome è Rosso come contenuto politico non scherzi…
    Neve me lo segno, che Pamuk non è uno scrittore che lascia indifferenti.


    Ma il Leggio è ancora vivo? È da parecchio tempo che non leggo aggiornamenti da quel blog.

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  3. Eh be', se non lo aggiorniamo noi mica si aggiorna da solo :p

    "Il mio nome è rosso" politico? Mah, in un certo senso forse sì, ma di sicuro non così esplicitamente come Neve, che è pure ambientato ai giorni nostri.

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