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© giorgio raffaelli |
Il compromesso tra quello che vorresti fare tu e quello che non vogliono fare loro lo dai per scontato ancor prima di partire. Ma i dubbi e le discussioni che accompagnano ogni scelta, seppur forieri di frustrazioni varie, possono rappresentare anche uno stimolo a interrogarsi su cosa rappresenti l'esperienza del viaggio, più ancora che quella di una vacanza, per te e per le persone che ti circondano.
Perché andare a Berlino? Per noi che abitiamo in provincia, e che ci sentiamo dei campagnoli anche quando passiamo per Milano, la risposta è facile. Tra le città che ci possiamo permettere di visitare, Berlino rappresenta la meta più distante dalla nostra esperienza urbana quotidiana. Una metropoli senza un centro storico, ma che trasuda storia da ogni angolo, una città in perenne mutazione, in cui i cantieri si contendono lo spazio con strade e palazzi, uno dei pochi luoghi europei teso verso il futuro piuttosto che fermo a rimuginare, a riciclare, a celebrare il proprio passato (anche perché, diciamocelo, non è che ci sia poi molto di cui gloriarsi nella storia recente di Berlino).
E poi ci sono i motivi personali, che nessun posto è cambiato tanto negli ultimi 25 anni come la capitale tedesca, e confrontare l'esperienza del viaggio fatto nel 1987 con l'impatto odierno della città sul visitatore è davvero stupefacente.
Alla ricerca di qualche coordinata che potesse aiutare ad orientarci nel nostro vagabondare per la città, il Muro è stata la prima tappa, Alexander Platz la seconda, il Pergamon Museum la terza. E poi Kreuzberg, che forse è il luogo rimasto più simile a sé stesso tra quelli che ricordavo.
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© giorgio raffaelli |
Alexander Platz è un cantiere e un mercato, con la Fernsehturm a fare da perno e da bussola nel carosello umano in perenne rotazione tra giardini e treni e negozi. Nel mio ricordo Alexander Platz era un luogo freddo, spazzato dal vento, deserto, esempio perfetto del trionfo effimero del socialismo reale. Ora s'è trasformata nel suo esatto opposto: un non luogo frequentato da turisti e clienti, con le bancarelle del solito mercato pseudoalternativo al centro di un quadrilatero dominato da palazzi convertiti in centri commerciali, la fila per salire in cima alla torre e la stazione della metropolitana a dividere come un solco i due lati della stessa medaglia.
La visita al Pergamon Museum, praticamente un dovere per tutti i turisti in città, s'è risolta senza troppe conseguenze familiari, che nonostante i figli abbiano dimostrato un'immediata insofferenza per 'sti vecchi sassi, qualcosa li deve aver comunque colpiti (le miniature e i volumi della collezione islamica, da quel che ho capito). Da parte mia dovevo andare in questo museo, che all'epoca della mia prima visita mi colpì tantissimo (il confronto con la realtà fuori museo era straniante). Soprattutto dovevo verificare dove fosse collocato, che per qualche strano scherzo della memoria mi pareva fosse in tutt'altra parte della città.
Una volta stabilito un minimo di punti di riferimento, girare Berlino diventa piuttosto semplice nonostante le dimensioni della città. Non che noi si sia diventati particolarmente esperti, più che altro ti rendi conto che in cinque giorni hai appena scalfito la superficie di quel che la città è in grado di offrire al visitatore. Siamo usciti poco fuori dal quartiere centrale, giusto la passeggiata esplorativa a Kreuzberg, con la scoperta di qualche ricordo che credevo scomparso, un assaggio di cucina turca e la constatazione che dalla prima visita - nel 1987 eravamo ospiti di un indigeno del posto - il quartiere è rimasto apparentemente uguale, magari solo un po' più benestante.
Per il resto siamo rimasti impressionati dalla Hauptbahnhof, abbiamo apprezzato il museo d'arte contemporanea e il silenzio del labirinto di cemento del memoriale dell'olocausto. Siamo rimasti stupefatti dalla quantità di cibo reperibile lungo la via, dal senso di tolleranza e possibilità che si respira per strada, dalle facce mediamente contente delle persone e dal fatto che, nonostante la quantità di turisti presenti, questi non spiccassero - almeno non tutti - come mosche bianche nel corpo della città.
Nonostante le discussioni, credo che anche i figli abbiano apprezzato Berlino. Dopotutto ci han trovato molte cose con cui hanno una qualche dimestichezza, se non di prima mano almeno per sentito dire, che la città è piena di segni che rimandano a quelle culture di strada che sono ormai tra i loro riferimenti principi (penso a hip-hop e grafittari, ma anche a fast food e tizi strani).
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© giorgio raffaelli |
La bellezza di palazzi e musei aiuta, ma ai pargoli non basta, che per crearsi una propria narrazione della visita, che è la maniera più immediata per riconciliarsi con il viaggio, servono parole, segni, panorami che possano essere ricondotti alla propria esperienza, e che esperienza vuoi che abbiano due ragazzi di 12 e 15 anni?
A riprova di questo aspetto della vacanza ecco la nostra tappa praghese, che i figli hanno detestato dal primo all'ultimo minuto, proprio per l'assenza totale di agganci alla loro realtà e alla contemporanea sovrabbondante presenza di turisti che, al contrario di quel che accade a Berlino, rimangono un variopinto e rumoroso corpo estraneo nel contesto della città. A Praga non siamo riusciti a trovare nulla capace di attrarre l'attenzione della figliolanza, e l'unico approccio per smuoverli è stato sottolineare il confronto tra le realtà differenti da cui proveniamo, tra il nostro modo di intendere l'esplorazione della città e quello dei turisti che ci circondavano. Un po' poco per lasciare un gran ricordo della visita, ma forse l'unico in grado di piantare qualche piccolo seme di dubbio e curiosità. Sperando che cresca nel tempo.
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