Come anticipato ormai qualche settimana fa, ecco qualche nota su un altro paio di volumi letti negli ultimi tempi. Stavolta si parla di due testi che provengono dritti dritti dagli anni '70 dello scorso secolo. Non sono romanzi, ma hanno entrambi nel racconto della Storia (e delle storie di contorno) il loro nucleo fondante.Hans Magnus Enzensberger - La breve estate dell'anarchiaLa politica e le bandiere, gli attentati e le riunioni, gli scioperi e le rivoluzioni. Il Socialismo, il Comunismo.
L'Anarchia.
C'è stato un tempo un cui il mondo stava per esplodere, un momento così ricco di potenzialità e sconvolgimenti che al confronto questi ultimi decenni sono paragonabili a un encefalogramma piatto (almeno per noi, europei. occidentali. bianchi e democratici), una manciata di anni in cui i poveracci di queste terre hanno alzato la testa e osato sperare in una vita migliore.
La disperazione e la speranza, il sogno e la violenza, la lotta, la resistenza, il compromesso, il tradimento e la sconfitta. Questa è stata l'anarchia spagnola, e Buenaventura Durruti, il simbolo perfetto di un movimento costretto alla resa dall'inconciliabilità tra principi ideali e pratica quotidiana, tra le istanze individuali e la loro dimensione sociale.
Il racconto della vita di Durruti narrato dalle voci dei suoi contemporanei è appassionante e tragico. L'uomo Buenaventura scompare, sovrastato com'è dal simbolo e dall'esempio. Puoi solo immaginarlo Durruti, che a raccontarla, una vita come la sua, è tanto immensa e incredibile che diventa per forza leggenda.
La scelta di
Hans Magnus Enzensberger di raccontare Buenaventura Durruti con le testimonianze di chi quegli anni li ha vissuti, lasciando quindi filtrare pregiudizi, necessità politiche e innamoramenti, è forse l'unico modo obiettivo per affrontare una storia che di obiettivo non ha nulla, tanto è intrecciata alle passioni politiche e alle trame segrete, ai tradimenti e alle rivolte, tanto è lontana dalla Storia ufficiale delle cronache, dei governi e degli eserciti, intessuta com'è delle vite di quel tipo di persone che di solito la Storia dimentica e ignora.
La figura di Buenaventura Durruti che emerge dalle pagine de
La breve estate dell'anarchia è quella di un eroe popolare. Un eroe cui nemmeno una morte inconcepibile, allo stesso tempo ridicola e così umana, ha ridimensionato gesta e figura.
Ed è incredibile la distanza che separa la nostra vita da quella dei protagonisti di quella porzione di storia. Non è passato nemmeno un secolo, ma la vicenda di Buenaventura Durruti vista da qui, ora, sembra quella di un personaggio fantastico e quella dell'anarchia un sogno sognato tanto tempo fa, nel cuore della notte, che al risveglio si fatica a ricordare, con un misto di rimpianto e nostalgia.
Bruce Chatwin - In PatagoniaMa davvero a qualcuno è venuta voglia di partire per la Patagonia dopo aver letto questo libro? E se davvero è successo, mi spiegate in che modo
Bruce Chatwin è riuscito ad affascinarvi con il suo racconto di quelle terre? Se c'è un posto dove NON vorrei andare dopo averne sentito parlare in termini tanto poco lusinghieri è proprio la Patagonia, Un luogo dove la gente sembra non perda occasione per litigare o sparlare del vicino, e quando non litiga sembra davvero triste e depressa, e dove nemmeno il panorama sembra essere un granché…
(A scanso di equivoci, io sono convinto che la Patagonia sia un luogo meraviglioso, solo che nulla delle sue meraviglie traspare da questo volume, salvo forse in una pagina o due.)
Erano anni che mi ripromettevo di leggere qualcosa di Chatwin. Per me il viaggio è sempre stata un'esperienza fondamentale e a guardarsi intorno pare proprio che
Bruce Chatwin sia l'esempio perfetto del viaggiatore moderno: è stato ovunque, ha scritto una manciata di libri che godono di ottime recensioni e continuano ad essere letti e venduti a più di trent'anni dalla loro pubblicazione.
Eppure nulla della magia del viaggio sembra emergere dalle pagine dedicate alla Patagonia, nulla del fascino della strada, o della meraviglia dell'incontro con un'altra terra e altri popoli. Le cose migliori di
In Patagonia sono i racconti delle persone (e dei personaggi) che dalla Patagonia son anche passati ma le cui vite superano abbondantemente i confini di quelle terre (Butch Cassidy su tutti, ma anche lo zio navigatore, o l'anarchico ungherese).
Quel che invece emerge prepotente dalle pagine di
In Patagonia sono lo snobismo britannico del suo autore, l'accondiscendenza che riserva ai locali e il continuo sottolineare le differenze in termini di progresso e civiltà delle stirpi nordiche rispetto a quelle indie o latine.
Bruce Chatwin sembra essere immune a quel genere di umiltà che permette al viaggiatore di diventare parte del mondo che attraversa, ed è troppo pronto a giudicare per riuscire ad appassionare il lettore con il racconto del suo viaggio.
In Patagonia nel complesso si legge comunque volentieri, se non per il gusto del viaggio, almeno per la somma di aneddoti e curiosità che indubbiamente contiene. È semmai il personaggio Chatwin ad essere davvero deludente.
Tocca trovarsi nuovi miti…
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