17 febbraio 2010

Non c'è più il futuro di una volta.


Picture by Don Solo.
OK. a quanto pare il film di maggior successo in tutta la storia del mondo è un film di fantascienza.
A questa constatazione ne dovrebbe seguire logicamente che la fantascienza sia qualcosa che permea diffusamente la cultura popolare. Un ulteriore passettino e dovremmo arrivare a concludere che essendo la fantascienza un genere eminentemente letterario, con tutti gli eventuali sviluppi multimediali che seguono a cascata, tale genere dovrebbe ritrovarsi ottimamente rappresentato anche tra gli scaffali. Bene. Fatevi un giro in libreria e poi tornate qua. Bella la logica, eh?

Come? No, non preoccupatevi, non ho intenzione di ripartire con l'ennesima filippica sul negletto destino della fantascienza libraria. Tanto, a che servirebbe?
Mi piacerebbe piuttosto provare a capire come mai se da un lato la fantascienza trionfa incontrastata al botteghino, dall'altra fa una fatica bestia a farsi accettare dal pubblico dei lettori.
Oppure, detto in un altro modo: cos'hanno di così diverso le proposte fantascientifiche cinematografico/televisive da quelle letterarie?

Iniziamo da Avatar. La mia tesi è che, nonostante l'indubbia meraviglia e il solido substrato (fanta)scientifico, Avatar sia un prodotto fondamentalmente innocuo, decisamente consolatorio, profondamente conservatore.
Lo spettatore si diverte - io mi sono divertito un sacco - ma viene coinvolto solo superficialmente, si becca la sua bella razione di meraviglia senza turbamenti, si gode il suo ruolo totalmente passivo. Sgombriamo il capo da qualsiasi equivoco: non c'è niente di male in un film come questo, ed è evidente che stante la perfezione tecnica del prodotto, un film del genere ha tutte le carte in regola per piacere alla stragrande maggioranza del pubblico.
Ma Avatar piace così tanto perché è tecnicamente perfetto o perché è così rassicurante?

Prendiamo un esempio diverso e vediamo se riusciamo ad addomesticarlo abbastanza da fargli dire quello che vogliamo. Life on Mars è una produzione televisiva inglese che grazie all'approccio fantascientifico riesce a sopperire abilmente ai cliché narrativi ormai desueti della solita serie poliziesca, e per questo spicca brillante dalla massa di prodotti analoghi che quotidianamente lotta per trovare un suo pubblico.
A me Life on Mars è piaciuta soprattutto per la ricostruzione d'epoca (per chi non ne avesse mai sentito parlare: un poliziotto inglese si risveglia dopo un incidente nella Manchester del 1973, e cerca di capire cosa gli è successo: se sta sognando, se ha viaggiato nel tempo, se è pazzo) e per l'inquietudine che riesce a trasmettere. Molto meno riuscite - o meglio, già viste un milione di volte - le storie poliziesche che costituiscono lo scheletro di ogni singolo episodio.
Ma Life on Mars colpisce soprattutto per una caratteristica precisa che distingue la serie, ovvero lo scontro programmatico, continuo e insistente tra il punto di vista di Sam Tyler, poliziotto illuminato del 2006, e quello dell'ispettore capo Gene Hunt, personaggio che riassume in sé tutti gli aspetti più beceri del mestiere di sbirro e che rappresenta in quanto tale lo spirito grezzo del 1973. Gli sceneggiatori esaltano questo aspetto della vicenda tanto da rendere lo scontro culturale temporale il vero nucleo della serie.
Quello che emerge è un'atmosfera fortemente nostalgica che nel corso delle varie puntate è portata alle estreme conseguenze, fino ad arrivare all'indiscutibile conclusione che in fondo nel 1973 non si stava poi male, con l'idea evidentemente vincente - dopotutto cosa sceglie Sam Tyler? - che il passato sia più semplice e vivibile, in definitiva migliore, del nostro presente.
Non male per una serie di fantascienza, non trovate?

Avatar e Life on Mars rappresentano i due estremi dell'offerta fantascientifica odierna per il pubblico televisivo e cinematografico, eppure a me non paiono poi così lontani.
Entrambi propugnano più o meno esplicitamente un'idea del passato come periodo decisamente preferibile al presente, per non parlare del futuro; entrambi coccolano lo spettatore fornendogli continue conferme di come una vita più semplice, anche se magari brutale, ops… avventurosa, e selvaggia sia preferibile alla complessità disumanizzante della quotidianità; entrambi suggeriscono che la tecnologia è il male e ci condurrà al disastro.
Che questo tipo di messaggio venga veicolato attraverso una rappresentazione che adotta in maniera esemplare i moduli narrativi fantascientifici è piuttosto paradossale, ma spiega altrettanto bene la distanza che c'è tra la fantascienza visiva e quella letteraria. Con questo non voglio dire che romanzi e racconti di fantascienza siano immuni da certe posizioni, quanto piuttosto sottolineare come le caratteristiche precipue di un genere non sono sovrapponibili ai motivi per cui questo ha o meno successo. Motivi che dipendono molto di più dalla capacità di annusare l'aria che tira (che lo si faccia consciamente o meno) e dal proporre un prodotto perfettamente calibrato sulle esigenze del consumatore che dall'abilità del dato autore di comporre storie originali, stimolanti o sorprendenti.
(che poi l'aria che tira puzzi da schifo, o che le aspettative del pubblico debbano in qualche modo essere sovvertite, beh… questi sono evidentemente problemi miei.)

12 commenti:

  1. Il 1973 non e' soltanto becero razzismo, e' anche un periodo di grandissimo fermento culturale, sociale, musicale, e chi piu' ne ha piu' ne metta. Per forza dal punto di vista dell'Inghilterra post-blairiana fa nostalgia: ma non necessariamente una nostalgia conservatrice.

    Per quanto riguarda Avatar... non sono poi cosi' sicura che sia un film "profondamente" conservatore. Ho il dubbio che non sia profondamente niente, ma che sia piu' intelligente di quanto appare a prima vista.

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  2. Beh… ma la nostalgia è conservatrice!

    A parte le facili battute, il 1973 che si vede in Life on Mars è davvero uno spettacolo, e il senso di nostalgia si avverte anche da queste latitudini. (Del resto vedere uno scorcio di quegli anni riporta per forza alle foto dei nostri genitori, alla nostra infanzia, al periodo in cui siamo diventati quel che siamo ora, del resto mica per niente Sam Tyler è un nostro coetaneo).
    Il punto non è quanto becero e razzista sia lo spirito del tempo (Gene Hunt docet), quanto piuttosto la sua capacità di risultare comunque vincente e vitale e positivo nonostante razzismo e ignoranza siano costantemente sottolineati. Quasi che quella condizione sia se non auspicabile almeno tollerabile in nome di uno stato delle cose comunque più umano (brrr!).
    Si stava meglio quando si stava peggio? La risposta degli autori di Life on Mars è un bel sì senza condizioni.

    …e arriviamo ad Avatar.
    Per me Avatar è conservatore nella misura in cui nega la realtà per proiettarci sopra una fantasia di potenza e naturalità profondamente fasulla.
    Negare la realtà significa raffigurare la società Na-Vi come un consesso idilliaco, significa sconfiggere la potenza militare terrestre con archi e frecce e bestie feroci, significa rappresentare la vita primitiva nella foresta come qualcosa di auspicabile e preferibile alle comodità della tecnologia terrestre. Significa soprattutto rendere reale e credibile questo contenuto proprio grazie all'alta tecnologia terrestre impiegata - splendidamente - da Cameron e soci.

    Ma ripeto, non mi interessa più di tanto analizzare i contenuti ideologici del film che sono sicuramente meno importanti del puro divertimento che comunque offre allo spettatore.
    Quello che mi è sembrato interessante notare è invece come:
    a) la fantascienza risulti ancora vincente;
    b) la vittoria della fantascienza vada a scapito di ogni profondità intellettuale: la creatività si diffonde in orizzontale - nella creazione sempre più dettagliata di cose (che siano mondi o esseri viventi o gadget tecnologici) a discapito della approfondimento verticale delle idee che dovrebbero costituirne il fondamento;
    c) la fantascienza da genere eminentemente complesso si sia avvolto su se stesso lasciando in vista unicamente la confezione dorata a ricoprire altri strati luccicosi con un bel vuoto all'interno.

    Questo è valido soprattutto per la fantascienza cinematografico/televisiva di successo, ed è la chiave del suo sdoganamento.
    Mi si dirà: non è sempre andata così? Forse, ma mai come oggi la cosa è evidente e, anzi, apprezzata.

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  3. http://www.fantascienza.com/blog/drownedword/2010/02/25/avatar-una-riflessione-a-media-cottura/

    ;-)

    Ciao!

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  4. Non so niente di Life on Mars perché non possiedo nè guardo televisione, ma al cinema ci vado e ho visto Avatar. Belle immagini. Scontatine ma pazienza. Andando avanti col film però ho cominciato a irritarmi per la sempliciotteria da una parte (il mito del buon selvaggio è duro a morire) e per la sottile furbizia del venditore di olio di serpente Cameron: impossibile non notare la distanza tra gli occhi che caratterizza i Na-Vi, che rende il loro sguardo tenero tenero anche qundo s'accigliano. Ciò che ci fa tanto piacere i gatti e rende nobili i grandi felini. Gli occhi grandi poi,tipici dei neonati, sono tratto tipico dei piccolissimi, che attira l'affettodegli adulti; è una strategia della specie. E potrei continuare per un bel po'. Mi disturba essere manipolata in modo così naif, e anche per questo il film non mi è piaciuto, al di là della pochezza della storia.

    Queste sono invece le caratteristiche che hanno reso il film popolare: bellezza fisica degli attori,anche quelli virtuali, semplicità della trama, vista mille volte in salse diverse, nostalgia per una pristina purezza in realtà mai esistita, i cappelli neri che se ne vanno bastonati...
    Dov'è la fantascienza in tutto questo? Quattro tòpoi in croce non fanno un genere.
    La gente crede di saper cos'è la sf e ne ha un'immagine di cartone; non penso proprio che film come questo aiutino il genere, anzi ne propaga un'immagine distorta, ridotta e omologata,così come ha fatto danni il ciclo di Star Wars,western travestito. Tranquilli che se c'è un buon film di vera sf gira poco e non fa botteghino: quanti avranno visti Silent running?

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  5. Ben detto Zoe, ben detto.
    Riguardo ad Avatar sono totalmente d'accordo con te.

    Però su quanto scrivi di Star Wars e Silent RUnning ho qualche dubbio.

    Star Wars m'è parso molto più complesso e articolato (e originale) rispetto al filmone Cameroniano.
    Poi è vero, probabilmente negli anni settanta la media di complessità dell'intero cinema americano era di qualche grado più elevata rispetto a quanto ci viene proposto ora. Ma tant'è.

    Silent Running io l'ho visto e non è che l'abbia trovato così memorabile.
    Ma è assai probabile che visto al momento dell'uscita dovesse fare ben altro effetto.

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  6. Vero, forse StarWars non era poi così sempliciotto, né Silent running così innovativo - erano esempi, rispettivamente, di una vicenda che sfrondata degli orpelli sf starebbe in piedi egualmente e di una che invece ha proprio bisogno di un'astronave.
    Silent running era una polpetta, ma molto più nello spirito dell'anticipazione rispetto all'altro, una serie intera!, che non anticipava un beato nulla ed era furba biada alle greggi.

    Ma in realtà io sarò contenta solo quando vedrò su schermo Ellison, tanto per nominare un improponibile :-)

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  7. Sì beh… messo così il confronto tra Star Wars e Silent Running non lascia speranze al film di Lucas! :-)

    Alla fine la cosa più innovativa di Star Wars è stato probabilmente il marketing che ha circondato la pellicola. Quello sì ha cambiato il mondo!

    Se con Ellison intendi il buon vecchio Harlan, mi spiace deluderti: Terminator non è farina del suo sacco? (ok, con tutti i dovuti distinguo, però…)

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  8. Non è solo l'abisso tra Star Wars e Silent running. Se guardiamo alle rispettive qualità delle due pellicole stravince SW - il megamarketing poggiava su elementi convincenti, ma se valutiamo la percentuale di fantascientivium, il film di Lucas ne era praticamente privo. Si poteva contestualizzare la vicenda nel western come nella fantasy. Oggi abbiamo un esempio analogo in Avatar. Gli orpelli, ripeto, non bastano, in Lucas e Cameron, ad esempio, il viaggio spaziale è una scelta legata, mi sembra, alla scenotecnica più che alla drammaturgia.
    Ma prendi Alien, che non sarà, nemmeno questo, il più bel film del mondo e a momenti Geiger è eccessivo con quel suo mostro ipermaschio, ma qui c'è fantascientivium a piene mani. L'alterità lontana e minacciosa che si fa vicina, troppo vicina. Eccetera.
    on diconulla di nuovo, uppongo, specialmente a un circolo di addetti ai lavori - come ora riconosco che tu e i tuoi bloggisti siete - ma, ragazzi, io sono il vostro lettore e spettatore ...

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  9. Ciao Zoe! (ma hai abbandonato Sillabaria per accasarti lucertolamente? :-))

    mmm… sai che non sono sicuro che mi piaccia cavar via Star Wars o Avatar dal genere fantascienza?
    Quello che dici è vero (almeno per SW, per Avatar la costruzione del mondo, la sua profondità e le implicazioni sono fantascienza meravigliosa e non semplici orpelli, che poi la storia sia conservativa beh… non si può avere tutto.), però l'immaginario visivo di questi film deriva in toto da quello che il pubblico generalista, ma anch'io che la frequento, identifica con fantascienza: astronavi, alieni, mondi meravigliosi, robot e pistole laser.

    Che poi queste pellicole manchino di dubbio e speculazione è vero, ma di nuovo, ce li aspettiamo davvero da un blockbuster hollywoodiano?

    (a scanso di equivoci, non sono un addetto ai lavori, solo un semplice lettore. Ma è vero mi piace un sacco la fantascienza! :-))

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  10. La lucertola saluta l'iguana. E no, non ho abbandonato, rimango caposillaba:-))

    Hai ampiamente ragione - astronavi e alieni sono imprescindibili, in un certo senso, per via di quel soffio di meraviglia decenne che per me è uno dei sapori dolci della sf.
    Il discrimine è quando l'astronave è usata come parte della storia, e quando invece può essere agilmente sotituita da una dligenza senza che nulla di fondamentale cambi.

    In presenza comunque di astronavi&alieni e altro variegato armamentario, abbiamo comunque sf - nessuna intenzione di tagliar fuori SW e nemmeno Avatar, fondamentalismo nein danke.
    Solo che li metterei ad un secondo livello: non storie di sf massiccia, ma storie placcate di sf.

    (Tra parentesi: puoi esere un semplice lettore, ma certo non un lettore semplice)

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  11. …che poi a impelagarsi in queste discussioni su cosa sia o non sia parte del genere si rischia di perdere di vista le qualità della singola pellicola, che non è detto siano per forza legate alla sua appartenenza o meno al dato canone.

    Insomma, la collocazione di tal film nel dato scaffale dovrebbe essere utile per far ordine nella videoteca, mica per stabilire criteri di qualità.

    (anche se poi è ovvio che il genere fantascienza sia un passo avanti rispetto a qualsiasi altra cosa, mainstream compreso! :-))

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