17 settembre 2009

Letture luglio/agosto 2009 - seconda parte


Picture by Iguana Jo.
Avevo tutte le intenzioni di aggiornare il blog con maggiore assiduità e invece a causa dell'improvviso picco lavorativo di questo inizio settembre il mio tempo-rete si è drasticamente ridotto e quel poco che m'è rimasto se n'è andato nel tentativo di fronteggiare le reazioni al post su Bad Prisma. Ora che la situazione sembra essersi acquietata rieccomi con la seconda parte dell'elenco delle letture di luglio e agosto. A breve (spero!) la terza e ultima parte.
Prima di iniziare coi libri voglio ricordare Jim Carroll, che se n'è andato la settimana scorsa.
Carroll era un outsider della scena letteraria e musicale americana, ciò nondimeno i suoi Basketball Diaries mi hanno lasciato un ottimo ricordo di 'sto ragazzo strafatto di droga e poesia.

Roger Deakin - Nel cuore della foresta
Esiste una parola per definire la nostalgia per qualcosa che in fondo non ci appartiene? Roger Deakin con questo libro compie un piccolo miracolo: rendere i luogo sconosciuti oggetto delle sue esplorazioni più familiari di quelli che ti circondano quotidianamente. Ci riesce grazie a una combinazione unica di curiosità e competenza, passione e umiltà.
I pezzi che compongono questo volume (dai racconti di viaggio in Kazakistan o nel bosco dietro casa, agli incontri con artisti, ai reportage su mestieri in via d'estinzione) tracciano le coordinate di un mondo verde in costante trasformazione in cui il legno nelle sue più diverse declinazioni, dall'albero alle foreste, agli oggetti di uso più o meno comune, diventa incontrastato protagonista.
Grazie a questo libro ho riscoperto il piacere dell'osservazione curiosa del verde che mi circonda. A fine lettura mi sono ritrovato a guardare gli alberi con una consapevolezza diversa, che fossero gli abeti e i larici di una foresta alpina, i salici e le betulle sulle sponde di un lago o i tigli e le querce di un parco cittadino.
Nel cuore della foresta è un volume pieno di piccole meraviglie, in cui probabilmente l'unico difetto è la mancanza di una mappa che permetta di seguire più agevolmente i vagabondaggi di Deakin, specie quelli tra le foreste britanniche.


Joe R. Lansdale - La morte ci sfida
Ecco il Lansdale che preferisco. Quello che non indaga le profondità dell'animo umano né si attarda nel moralismo da bravo ragazzo del sud, ma che invece mantiene dritta la barra del timone narrativo puntando ai fatti e alle invenzioni, condendo violenza, ritmo e atmosfera in una miscela di generi che colpisce il lettore come un uragano del Texas. Ne La morte ci sfida c'è il West, l'eroe solitario in cerca di pace e redenzione, la bella del villaggio e un sacco di zombie. Allacciatevi le cinture di sicurezza, che qui si viaggia a vista!


Haruki Murakami - La fine del mondo e il paese delle meraviglie
Che fine ha fatto il cyberpunk? Possibile che a distanza di venticinque anni non sia rimasto nient'altro che un unico romanzo a memoria di un movimento che all'epoca sembrava davvero rivoluzionario? Forse che davvero i suoi aspetti visuali e modaioli hanno soppiantato nell'immaginario quanto di buono quegli autori avevano creato a livello letterario? Chi si ricorda fuori dalla cricca fantascientifica di personaggi come Rucker, Maddox, Shirley, Cadigan, Laidlaw?
Eppure qualcosa di buono quegli scrittori devono averlo fatto, che le suggestioni di questo vecchio romanzo di Murakami Haruki arrivano per buona parte dallo stesso brodo primordiale da cui sarebbero emersi più tardi altri autori importanti come Jonathan Lethem o lo stesso David Foster Wallace. Non voglio sopravvalutare la rilevanza dell'input fantascientifico nella creazione del romanzo di Murakami, solo sottolinearne l'importanza per ancorarne il soggetto a un sentire popolare allora molto diffuso. Del resto La fine del mondo e il paese delle meraviglie è una sintesi pressoché perfetta tra opposti attrattori. Così, se il confronto tra scrittura alta e letteratura di genere è uno dei possibili motivi d'interesse del volume (ma non certo il più originale o innovativo), altrettanto interessanti risultano essere le miriadi di dettagli posti in apparente contrasto tra loro e quindi distillati in una visione, questa sì parecchio più originale delle parti di cui è composta.
Nel romanzo la consistenza tecnologica e le meraviglie cibernetiche della Tokyo futura descritta nei capitoli dedicati al Paese delle meraviglie fanno da contraltare alla quiete della misteriosa enclave in perenne e fantastica stasi descritta nelle parti del romanzo ambientate nella terra desolata alla fine del mondo: tanto il primo è un mondo realistico in cui la lotta per la sopravvivenza è all'ordine del giorno, quanto il secondo appare il frutto di un escapismo portato alle estreme conseguenze. Nel mondo "reale" tutta l'azione avviene al coperto, in glaciali palazzi o in oscuri sotterranei, mentre ne la fine del mondo un ambiente naturale, sempre in qualche modo ostile e tenebroso, non manca mai di accompagnare gli spostamenti e le riflessioni del protagonista. Nella città la violenza, i sentimenti e le iniziative personali costituiscono l'humus da cui si originano tutte le storie; nel misteriosa localtà alla Fine del mondo i sogni e le ombre sono le uniche espressioni di umanità residue.
Se il primo è un mondo decisamente fantascientifico, il secondo è assolutamente fantasy (al lettore le riflessioni sui pro e i contro dei relativi universi narrativi). Ma, come scrivevo sopra, Murakami non è uno scrittore di genere. Sebbene le caratteristiche fantastiche siano decisamente funzionali al romanzo e approfondite in maniera esemplare, il nucleo de La fine del mondo e il paese delle meraviglie sta nelle peripezie fisiche e sentimentali del protagonista, sempre in bilico tra un individualismo che lo conduce inevitabilmente alla marginalità sociale ed emotiva e un coinvolgimento sempre più estraniante con il mondo circostante. La ricerca di un equilibrio lo condurrà fino alle estreme conseguenze, nel tentativo radicale di conciliare razionalità ed emozioni, cercando nel frattempo una soluzione al dolore del mondo.
La struttura binaria totalizzante de La fine del mondo e il paese delle meraviglie porta naturalmente con sé il rischio di un eccessivo schematismo. Sebbene in alcuni momenti l'alternarsi tra i due mondi risulti un po' troppo meccanico, la grazia di Murakami Haruki, la scioltezza della sua scrittura, il suo passo lieve ma sicuro, sono tali da incantare il lettore ben oltre l'ultima pagina del romanzo.
Ed è quasi un dispiacere notare che successivamente anche Murakami ha in qualche modo normalizzato, se non la scrittura, quasi sempre ad altissimo livello, almeno gli aspetti più fantastici del suo orizzonte narrativo.

6 commenti:

  1. Questo libro di Murakami è piaciuto molto anche a me: a distanza di mesi e mesi dalla lettura rimane una grande impressione di eleganza nella narrazione, idee piuttosto originali e sobrietà stilistica. A me ha fatto venire una mente una sorta di improbabile fusione tra il Gaiman di "Nessun dove" e la decadenza de "Il deserto dei Tartari" di Buzzati.

    Mi son ripromesso di leggere a breve "L'uccello che girava le viti del mondo", l'ultimo dei suoi librì più noti che mi manca da leggere.

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  2. Mah, Jo, La morte ci sfida l'ho molto gradito. All'epoca, su next-station.org scrissi:

    "Le avventure del reverendo Jebediah Mercer sembrano proiettate proprio sullo schermo di quel Drive-in mano a un demiurgo folle. E la voce di Dio è proprio quella del vecchio Joe: ironica, divertente, che balla sul filo di quello che forse è la vita: La Grande Presa Per Il Culo.

    Il suo è un western canonico, mischiato a del sano b-movie horror; talmente canonico che è come un film porno girato tutto su una “missionaria”, salvo poi accorgersi che la donna sotto è uno zombi e che l’uccello se lo vuole mangiare sul serio".

    Ultimamente ho letto anche La sottile linea scura, che forse fa parte di quelli in cui - dici - si "attarda nel moralismo da bravo ragazzo del sud". Bé, Lansdale non l'ho mai trovato poi così bigotto, e certi suoi romanzi da "bravo ragazzo" hanno una struttura che non cede mai, al pari di 'sti altri più divertenti. La grandezza dell'autore sta proprio di saltare da un registro all'altro e di mi mischiarli a piacimento, o no?

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  3. Boh, non comprendo tanto entusiasmo per "La morte ci sfida", a me è sembrata un'opera minore, ma proprio minore. Come dice BHS qui sopra, la struttura è assolutamente quella canonica del film di mostri senza la minima deviazione, di quelle in cui la strage finale arriva a vanificare tutte le interazioni tra i personaggi, che muoiono tutti allo stesso modo. Certo, di carino c'è l'ambientazione western, e c'è già tutta la capacità di Lansdale per i dialoghi e i personaggi, ma si vede benissimo che è stata scritta prima della completa maturazione dello scrittore.

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  4. @ Gianluca: beh… a proposito di incroci improbabili, io pensavo a un Gibson meets Miyazaki, con i Beatles a comporre la colonna sonora. :-)

    "L'uccello che girava le viti del mondo" è un capolavoro. A me manca "Kafka sulla spiaggia", ma prima o poi ci arrivo.

    @ BHS: ehm… "bigotto" e Lansdale nella stessa frase? nahhhh…
    Quando parlo di moralismo mi riferisco soprattutto al ciclo di Hap & Leonard, in cui l'intento morale di Lansdale è trasparente (soprattutto nei primi episodi). Ma attenzione, che per me "moralista" non è da intendersi necessariamente nell'accezione negativa del termine, anzi! Scoprire un forte convincimento morale in un testo che è comunque in grado di sollazzare il lettore offre qualche motivo di interesse in più, specie quando questo aspetto è totalmente coerente con la struttura narrativa del volume.
    Detto questo, io continuo a preferire il Lansdale scatenato del Drive-In, di Bubba Ho-Tep o di questo "La morte ci sfida". Che sarà certamente più fracassone e grezzo e sopra le righe di quanto non appaia nei sui romanzi più quotati, ma che proprio per questo risulta decisamente più originale dei suoi colleghi scrittori più seri.

    @ Vanamonde: vale un po' quello che dicevo sopra a Fernando: "La morte ci sfida" è un romanzo che va dritto per la sua strada senza starsi a guardare troppo intorno.
    Lansdale sembra scrivere un romanzo senza pretese eppure in pochissime pagine tratteggia una mezza dozzina di ottimi personaggi, costruisce e fa evolvere almeno tre relazioni significative, rivela progressivamente il segreto alla base della vicenda dosando sapientemente le informazioni. Poi è vero che la struttura del romanzo è un canone, ma è un canone che Lansdale dimostra di saper usare con piena consapevolezza. Diamine, non c'è nemmeno uno straccio di finale consolatorio!
    Mi sembra insomma che "La morte ci sfida", nonostante sia programmaticamente un'opera minore, ha tutto quel che serve per affascinare il lettore e dimostrare le capacità compositive dell'autore.
    Che poi si preferiscano altre cose, beh… è più che legittimo.

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  5. Benvenuto nel club dei pochi che hanno letto il libro di Deakin.
    In previsione del trasloco in campagna me lo sto rileggendo nei finesettimana...
    Roger Deakin era un grande.

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  6. Il rischio a leggere Deakin in pieno trasloco è di ritrovarsi a piantar alberi a ogni pié sospinto senza aver cognizione delle proprietà specifiche del luogo dove ci si trasferisce.

    Però è un gran bel rischio!

    :-)

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