31 maggio 2013

Dope D.O.D. live al Rock Planet


Era da un sacco di tempo che non fotografavo un concerto, ed è la prima volta che mi capita di scattare qualche foto a un live act di questo tipo. Nonostante tutto sono abbastanza soddisfatto del risultato finale. Ben più dei miei scatti sono contento della qualità dello show messo in piedi da 'sta banda di simpaticoni.
I Dope D.O.D. sono - con Salmo e Rancore - una scoperta musicale che devo a mio figlio. Sono un gruppo olandese di rap hardcore (ad alcuni piace il termine horror-core) con un gran bel tiro. Tra musica e video si son costruiti nel tempo un'ottima reputazione, che dal vivo viene confermata in toto.
L'unico dubbio che mi rimane è quanto il fatto di non capire una mazza di quel che dicono contribuisca al mio gradimento, che se anche per mio figlio - che ne sa ben di più - sono un ottimo esempio di ignoranza applicata all'hip-hop, non so quale potrebbe essere la mia reazione a un ascolto più attento. Magari mi piacerebbero ancor di più, chi lo sa…

Ecco una selezione delle foto. Le altre le trovate —> qui <—.


29 maggio 2013

Letture: Andrea Camilleri, Robot, Luciano Bianciardi

Andrea Camilleri - La gita a Tindari
Leggo di tutto, ma periodicamente mi piace tornare a frequentare territori già conosciuti, che non sempre si ha voglia di provare nuovi gusti e sapori. I gialli di Andrea Camilleri con protagonista il commissario Montalbano sono letture piacevoli, confortanti nel riproporre caratteri e situazioni che non offrono molto spazio a sorprese o stupefazioni, ma capaci di lasciarti soddisfatto con una buona storia, una lingua brillante e un panorama reso a meraviglia.

La gita a Tindari è stata una lettura migliore di quanto mi aspettassi. Le ultime cose lette della serie di Montalbano (non che sia un esperto, ma tra romanzi e racconti qualcosa l'ho letto) non mi avevano particolarmente colpito: storie prevedibili, plot piuttosto scialbo, focus sul contorno piuttosto che sul mistero. In questo romanzo Camilleri si concentra maggiormente sulla (doppia) trama giallo piuttosto che su politica e società siciliana e il libro ne guadagna assai.
Quel che mi stupisce sempre leggendo i romanzi di Camilleri è il senso di ordine (non di giustizia e nemmeno di uguaglianza, ordine inteso in senso quasi matematico) che sembra governare la sua Sicilia, il che è piuttosto curioso rispetto all'idea che si ha da qui del sud, come di un posto piuttosto caotico e confuso. Forse è la luce quasi sempre abbagliante che illumina la scena e impedisce di notare i dettagli, forse è il poco traffico e l'esiguità di persone che si incontrano accompagnando Montalbano nelle sue indagini, ma la Sicilia di Camilleri è così quieta e rassicurante che non vedi l'ora di passarci un po' di tempo.




AA.VV.
- Robot 63

Numero senza grandi nomi internazionali quello di Robot uscito nell'estate di due anni fa. Forse per questo motivo i racconti migliori mi son parsi quelli made in Italy.

Ecco qui di seguito qualche nota sulle storie:
- Il Leviatano che tu hai creato, di Eric James Stone. Una lezione di catechismo stellare più che un racconto di fantascienza. Se ci credete è probabile lo troviate di vostro gusto, altrimenti, bah…
- L'eroe dei due mondi, di Francesco Grasso. Il racconto migliore di questo Robot. Jesse James tra i briganti a combattere per l'unità d'Italia. Improbabile? A leggere la storia di Grasso direste proprio di no. Personaggi splendidi e buon ritmo per una storia che avrebbe meritato la misura del romanzo.
- Dumpin' Jack, di Alberto Cola. Alberto Cola all'ennesima potenza: degrado e umanità, ibridi e nostalgia per un racconto che mostra le sue migliori qualità nella capacità dell'autore di riscrivere l'ennesima storia di sconfitte e piccole rivincite, mescolando da par suo le capacità evocative di un immaginario condiviso con una lingua sempre in bilico sul filo della retorica hard-boiled. 
- Carta Kodak, di Alberto Costantini. Niente da fare, io 'ste storie che si appoggiano a situazioni più grandi di loro, tentando l'effetto a sorpresa e cadendo ad ogni più piccolo tentativo di verosimiglianza non le riesco proprio a digerire. È sufficiente confrontare questo tentativo di storia alternativa con quello di Grasso presentato poche pagine prima per rendersi conto delle differenzi abissali nella qualità del racconto.
- La notte bianca, di Gianfranco Briatore.  La notte bianca, racconto del 1960 proposto nella rubrica Retrofuturo, non spicca certo per originalità, ma rimane comunque un esempio di buona scrittura al servizio di una storia di incontri tra civiltà alla periferia della galassia. Gli manca giusto quel guizzo per liberarsi dalle secche della mediocrità.
- Belle Èpoque, di Stefano Carducci & Alessandro Fambrini. Un racconto esemplare di come non siano sufficienti le buone intenzioni per scrivere un buon racconto. Non so se sia stata la messa in scena didascalica e poco appassionante, o piuttosto i personaggi monodimensionali e lo sviluppo meccanico della vicenda, ma il racconto del duo Carducci-Fambrini mi ha lasciato piuttosto freddo, privo com'è di ogni capacità sorprendere e meravigliare il lettore.
- Luna Pazza, di Stanley G. Weinbaum. Il racconto di Weinbaum, uscito nel 1935, è un ottimo esempio di fantascienza d'epoca che mantiene intatta la capacità di divertire grazie al tono leggero della narrazione e alla quantità di dettagli sorprendenti, per quanto naif, che costellano la vicenda.



Luciano Bianciardi - La vita agra

Facciamo finta di aver mai sentito nominare Luciano Bianciardi e di non aver mai letto nulla riguardo alle conseguenze e al significato della sua attività letteraria o del ruolo che si è ritagliata la sua figura in certi ambienti nei decenni dopo la sua scomparsa. Proviamo a parlare de La vita agra come di un romanzo qualsiasi, di quelli che ti capitano in mano quasi per caso.

Ne La vita agra c'è il ritratto definitivo di quell'entità astratta che è l'italiano medio per come me lo sono figurato nel corso del tempo. Il protagonista è un uomo pieno delle migliori intenzioni, abilissimo a trovare mille mila motivi, sempre indipendenti dalla sua volontà, per non riuscire a concludere quel che per tutto il tempo si ripromette di fare. Un uomo bravissimo a lamentarsi della degenerazione dei costumi, ma incapace di opporsi alle derive della realtà. Un uomo che sogna di imporre le proprie origini a un mondo che lo accoglie con somma indifferenza. Un uomo che giudica giudica giudica, ma non si mette mai in discussione. Un uomo senza responsabilità, quasi che ad assumerne si diventi complici del nemico.

La vita agra è un ottimo romanzo, scritto splendidamente, ma capace come pochi di farmi incazzare per lo spreco di talento e l'ignavia del suo protagonista, che a parole son bravi tutti a far saltare il palazzo, ma a farlo, poi, ci vuole qualcosa di più.

24 maggio 2013

Dal lago di Braies a Cortina. 5 giorni a spasso per le Dolomiti

Quest'anno il nostro tradizionale trekking estivo avrà come meta le montagne che sovrastano San Martino di Castrozza, con un percorso di quattro giorni intorno alle Pale di San Martino.
Niente di meglio che ricordare il giro dell'anno scorso per entrare in sintonia con quello speciale stato d'animo che caratterizza questo tipo di esperienza.
Ecco quindi una carrellata di foto dei cinque giorni trascorsi percorrendo le prime tappe dell'Alta Via delle Dolomiti n.1, della discesa lungo le gallerie scavate dai soldati durante la prima guerra mondiale che portano dal rifugio Lagazuoi fin giù al passo Falzarego, per concludere quindi con la traversata della meravigliosa Val Travenanzes fino alle porte di Cortina.

Buon divertimento!






21 maggio 2013

Letture: Kit Whitfield, Emmanuel Carrère, Gabe Hudson

© giorgio raffaelli
Kit Whitfield - In Great Waters
Quando ripensiamo a un romanzo di genere, che si tratti di fantasy o fantascienza, le prime cose che ci tornano in mente sono lo scenario, i personaggi e le idee, più o meno originali, che lo caratterizzano. Se siete lettori abituali, saprete bene quanto sia difficile trovare gestiti questi elementi con eguale intensità, originalità e profondità. Kit Whitfield ci riesce, sviluppando una storia in cui è difficile decidere se le cose migliori le abbia fatte con la costruzione del mondo, con il ritratto che offre dei personaggi, o nello sviluppo stesso della vicenda.

In Great Waters è un romanzo di storia alternativa, con tritoni e sirene (deepsman nella versione della Whitfield) che governano l'Europa rinascimentale mescolandosi agli uomini di terraferma.
In Great Waters è un romanzo di formazione e di rivoluzione, narrato mantenendo in primo piano la storia di un reietto e di una principessa, che superano le canoniche difficoltà di status e circostanze nel tentativo di vivere, almeno per un po', felici e contenti. 

Certo, raccontato in questo modo, non è che 'sto libro sembri offrire molte attrattive, incastrato come appare tra dinamiche da favoletta e setting infantile. Invece In Great Waters è un romanzo tecnicamente perfetto, che affronta tematiche adulte senza retorica o facili concessioni al lettore.
La storia di Henry, figlio bastardo del mare, abbandonato in spiaggia e cresciuto con un unico scopo, offre alla Whitfield la possibilità di esplorare da un lato una società aliena come quella dei deepsmen, dall'altro quella di costruire un personaggio complesso e tridimensionale e svilupparne l'evoluzione in maniera magistrale.
Se il personaggio di Henry permette alla Whitfield di gettare le basi drammatiche del romanzo, la vicenda di Anne, figlia minore del re, solitaria ed emarginata, fornisce all'autrice un punto di vista privilegiato sulle dinamiche del potere, e aggiunge quel tocco di sentimento che bilancia la drammaticità della storia e quel tocco di ironia che, specie nell'ultimo terzo del romanzo, dona alla vicenda un ulteriore motivo d'interesse.
Temo che In Great Waters non verrà mai tradotto in italiano (troppo particolare per trovare un mercato favorevole dalle nostre parti), ma per chi legge in lingua inglese è un romanzo assolutamente consigliato.



Emmanuel Carrère - Limonov
Si corre il rischio, affrontando un volume come questo di Emmanuel Carrère, di ridurre il giudizio sull'opera all'opinione che ci si crea del suo protagonista. Che si arrivi ad apprezzare, a giustificare o a condannare la vicenda umana di Limonov, a me pare che quel che davvero conta è il percorso narrativo che compie Carrère nello sviluppo di questa biografia.

Apparirà forse paradossale parlare di narrativa scrivendo a proposito di un volume biografico (quale altra ambizione se non la ricerca della verità dovrebbe avere un libro simile?), eppure il pregio maggiore di Limonov è il taglio personale che Emmanuel Carrère adotta per il racconto di una vita straordinaria come quella di questo russo dalle molteplici identità (poeta/emigrante/soldato/politico/delinquente, a seconda dei momenti e dei punti di vista). La storia di Limonov è la storia della Russia degli ultimi 60 anni, e del rapporto che con questa storia Carrère ha sviluppato nel corso di un'intera esistenza.

Lo scrittore francese mette in rapporto l'inestricabile mistero della personalità di Limonov con tutto ciò di apparentemente incredibile e storicamente eccezionale è avvenuto in Russia nei decenni cha hanno portato dal collasso dell'Unione sovietica all'era di Putin. Esplorare l'identità cangiante di Limonov significa interrogarsi sulla relatività di ogni posizione morale, sulla forza necessaria a mantenere coerenza e disciplina, sulle risorse che si hanno a disposizione per influire sulla realtà, per non parlare di casualità ed entropia, ospiti inattesi e indesiderati di ogni percorso esistenziale.
Ma raccontare la vita di Limonov come fa in questo volume Emmanuel Carrère, equivale anche a trasferire la necessità di una narrativa personale su una persona altra. Una persona la cui esistenza ci regala l'opportunità di diventare coprotagonisti di un'avventura umana il cui peso non saremmo mai stati in grado di reggere da soli. Perché in fondo quel che non riesco a togliermi dalla mente è l'idea che Carrere stia a Limonov come un Emilio Salgari sta al suo Sandokan. E che la Verità sia l'ultimo degli argomenti capaci di farci apprezzare un libro simile.




Gabe Hudson - Caro signor presidente
Sono rimasto folgorato da Gabe Hudson sulla via di Baghdad, grazie al suo Appunti da un bunker lungo la Highway 8, pubblicato in italia da minimum fax nella seconda raccolta del meglio di McSweeney. Da allora è passato un po' di tempo, ma quando sono incappato in Caro signor presidente, volume antologico che oltre al già citato racconto raccoglie altre sette storie che hanno a che fare con la prima guerra del  Golfo, non potevo certo lasciarmelo sfuggire.

Per quella che è la mia esperienza con la letteratura di guerra, o si parla di eroi o si mette in ridicolo la mentalità militare, in entrambi i casi quel che emerge solitamente è quanto brutta sia l'esperienza bellica. Gabe Hudson non si discosta da questa dicotomia, affrontando però il tema da un punto di vista parecchio laterale, sfruttando tutte le tecniche narrative sdoganate da quel gruppo di autori assortiti riconducibili al post-moderno. E se il succo non cambia (l'alienazione che accompagna l'esperienza militare, i danni visibili o invisibili provocati dall'esperienza sul campo di battaglia, i ripensamenti e la sopraggiunta consapevolezza dell'essere pedine in un gioco di cui non si conoscono nemmeno le regole), le forma che assumono i suoi racconti sono sempre piuttosto bizzarre.

Nei suoi momenti migliori (il racconto citato sopra, insieme a Come ho trovato la cura e L’uomo che amava travestirsi) Gabe Hudson mi ha ricordato una Aimee Bender in versione maschile, capace di combinare fulminanti visioni surreali alla sentita compassione per il destino dei suoi personaggi, in altri racconti l'alchimia tra i due piani del racconto non riesce appieno, rendendo alcune delle storie presenti stucchevoli e presuntuose, nella ricerca di un virtuosismo che m'è parso fine a se stesso. Nel complesso però il volume si legge comunque volentieri, pur senza risultare così entusiasmante come invece speravo.

16 maggio 2013

Visioni: Drive

L'altra sera abbiamo finalmente visto Drive. A parte ogni considerazione sulla qualità del film (a me è piaciuto assai) e il dubbio che Nicolas Winding Refn sia il cugino laconico di Quentin Tarantino (del resto Ryan Gosling non è forse il fratello piccolo di Christoph Waltz?), qualcuno mi spiega qual è il senso dell'agghiacciante colonna sonora?
Grazie.

Ah… blogger mi informa che questo è il post numero cinquecento del blog.
Quando ho iniziato non credevo avrei resistito tanto!

13 maggio 2013

Tre libri che non mi son piaciuti

© giorgio raffaelli
Ho questo post in canna da qualche tempo. Ora è arrivato finalmente il momento di rompere gli indugi e condividerlo con voi.
Seppur la rete, almeno per quanto riguarda blog e simili, sia in un momento di forte contrazione - di visite, di stimoli, di relazioni - viviamo pur sempre in tempi interessanti. Trattando quindi di libri che non mi son piaciuti tocca fare la solita premessa: "se [un libro] ti piace, non smette di piacerti perché non piace a Iguana."

Leggendo parecchi libri credo sia inevitabile incappare di tanto in tanto in qualche volume che non riusciamo a mandar giù. In questi casi c'è poco da fare: o si interrompe la lettura, o si arriva fino in fondo per capire fino a che punto il disagio che ci provoca sia responsabilità dell'autore o se invece sia il lettore a non esser riuscito a far suo il testo che ha per le mani.
Nei dintorni di questo blog, tra gli amici che gestiscono analoghi spazi dedicati a letture e visioni, s'è fatta strada l'idea che non sia opportuno postare recensioni negative, vuoi per evitare di alimentare polemiche spesso fini a se stesse, vuoi per non sprecare tempo con opere che non si sono giudicate meritevoli, vuoi per incentivare la fruizione di testi e pellicole di cui si condividono qualità e contenuti.
Capisco questo punto di vista, ma non lo condivido.
Sono convinto che quando si parla di un testo, quando si discute il proprio punto di vista su un film, quel che si racconta sia sempre la storia di un rapporto a due, tra l'opera da una parte e chi ne fruisce dall'altra. Se il recensore ritiene l'opera non all'altezza dei propri di standard, critica sì l'opera del caso, ma dichiara al contempo, esplicitamente o implicitamente, quali siano i paletti all'interno dei quali esercita il proprio diritto d'opinione. Chi poi si troverà a leggere i motivi per cui il dato libro/film è, o non è, stato giudicato positivamente, si farà certo un'idea del libro/film, ma anche del recensore. Credo sia solo grazie a questa relazione che si possa instaurare un rapporto di fiducia e continuità tra chi un blog lo frequenta e chi invece si trova a gestirlo.
A questo aspetto sociale si aggiungono poi un paio di considerazioni personali. Da quando ho iniziato a postare in maniera organica le mie letture (ed è ormai un po' si tempo…) mi sono preso l'impegno di parlare di tutte le letture fatte, senza badare a genere o gradimento, alla provenienza del testo o al supporto che ne ha permesso la lettura. Evitare di parlare di un titolo per non incorrere nell'ira di autori o fan o, come m'è capitato di scoprire, per una qualche sorta di (auto)censura preventiva, non risponde agli scopi del mio blog. Se ho deciso di annotare le mie letture l'ho fatto per due motivi, e nessuno dei due contempla la possibilità di influenzare, convincere o blandire chi capita da queste parti (anche se poi, inevitabilmente, succede): da un lato tenere traccia del mio percorso di lettore, dall'altro cercare di comprendere quali siano gli aspetti di un testo capaci di colpirmi, di entusiasmarmi o di irritarmi, di emozionarmi o deludermi. Perché solo dal confronto con ciò che non si conosce è possibile crescere e maturare.

Detto questo, vediamo quali sono i motivi per cui ho trovato difettosi i testi che seguono.


Patrick Dennis (Edward Everett Tanner III)
- Zia Mame

È probabile che sia successo, ma faccio fatica a ricordare di aver mai letto un libro più furbo (e più stronzo) di Zia Mame di Patrick Dennis.
La Zia Mame protagonista del romanzo è l'epitome dell'anticonformista col culo al caldo, pronta alle scelte sociali più radicali, ma mai disposta a pagarne le conseguenze. Patrick Dennis è molto abile a presentare questo ritratto di signora della buona società dalla condotta sociale piuttosto originale, ponendola sempre al di sopra di ogni critica, qualunque sia la situazione in cui è coinvolta, ma suggerendo sempre e comunque la superiorità morale del lettore per cui il volume è stato confezionato. Dopotutto, quando Zia Mame fa il passo più lungo della gamba, e capita spesso, la soluzione è sempre il ritorno al conformismo più rassicurante e consolatorio.

È raro che un libro riesca a suscitarmi tanta rabbia di classe, ma Zia Mame è riuscita a tirar fuori il proletario ben nascosto tra le pieghe della mia educazione. E non importa che il libro sia divertente, a tratti brillante e mai noioso. È semmai un'aggravante, che gli specchietti per le allodole son fatti apposta per fotterti non appena attirata la tua attenzione.


Massimo Citi - In controtempo
Ho letto In controtempo per due motivi. L'ottima recensione letta nella vecchia incarnazione di Malpertuis, e la lettura di un paio di racconti di Massimo Citi negli Alia degli ultimi anni. L'ho letto grazie al generoso omaggio del suo autore, che me ne ha mandato una copia, che in effetti il volume non risultava più disponibile. Mi aspettavo una raccolta di storie fantascientifiche, vi ho trovato una serie di racconti in bilico tra mainstream e fantastico. Non so se e quanto le mie aspettative abbiano contribuito al mancato gradimento del volume, però tant'è: a me In controtempo non è piaciuto. Vediamo di dare qualche spiegazione a questo giudizio negativo.

Al contrario del romanzo di Patrick Dennis, In controtempo è esemplare di una coerenza (un'intransigenza?) ideologica che traspare da ogni racconto di Massimo Citi. Purtroppo per il lettore, l'aderenza a una visione monolitica della realtà compromette la resa narrativa di queste storie, che risultano soffocate, sia nell'espressione delle personalità dei personaggi, sia nella resa ambientale, da una monotonia terminale che rende la lettura dei racconti invero faticosa.
In controtempo soffre quelli che sono a mio avviso i difetti congeniti di moltissima letteratura di genere creata in Italia negli ultimi decenni: la preponderanza dei contenuti morali/ideologici a discapito della ricerca di profondità e dettaglio nei singoli aspetti del narrato. I personaggi di Massimo Citi non sono mai persone ma categorie umane, le dinamiche che li contraddistinguono sono mutuate non dalla realtà ma dall'idea che di certe realtà si ha osservandole dall'esterno, con magari un bel paraocchi ideologico a minare l'osservazione. Se anche gli spunti narrativi offrono qualche interesse, l'uniforme mano di grigio che ricopre le storie tiene a distanza il lettore (questo lettore), che non trova alcun motivo per proseguire la lettura.
Non so se  i racconti presenti In controtempo sono espressione di una fase della scrittura del suo autore che magari nel tempo è stata superata. Di sicuro un racconto meraviglioso come Leggere al buio, presentato nell'edizione 2008 di Alia, m'è parso parecchio distante da quelli raccolti in questa antologia.


Alessandro Girola - Bagliori da Fomalhaut
Mi son sempre tenuto alla larga dalle autoproduzioni nostrane. Non nego ci è possano essere delle valide eccezioni (e ci sono, ci sono, vedi anche più giù, o qui), ma la mia esperienza, per quanto parziale e limitata, m'ha insegnato che per certe cose è meglio attendere la giusta sollecitazione, che il tempo è poco, e le cose da leggere pressoché infinite.

Bagliori da Fomalhaut ha superato la soglia di sbarramento grazie al suggerimento di Eddy, che ne consigliava la lettura insieme agli ebook autoprodotti di Samuel Marolla e Andrea Viscusi. Di Marolla conoscevo già le qualità e immagino, che lo devo ancora leggere, che il suo Colosso Addormentato sia per lo meno un buon racconto; Andrea Viscusi mi ha sorpreso positivamente: le sue Quattro Apocalissi sono quanto di meglio mi sia capitato di leggere in ambito fantascientifico da un bel po' di tempo (ma ne riparliamo); la lettura di Bagliori da Fomalhaut di Alessandro Girola è stata invece una delusione su tutta la linea.

Bagliori da Fomalhaut è una fantasia adolescenziale andata a male: c'è un protagonista incerto tra odiosità, opportunismo e timidezza, un ritratto della popolazione femminile imbarazzante nella sua pochezza, personaggi le cui motivazioni sono profonde quanto la carta su (non) sono stati scritte, una storia che definire derivativa è un understatement, uno studio d'ambiente raffazzonato e presuntuoso, una gestione della violenza e dell'orrore che urla vendetta per superficialità e gratuità d'espressione.
Per quale motivo un lettore dovrebbe perder tempo con un romanzo simile?
Evidentemente di motivi ce ne devono essere più d'uno, che girando in rete si trova una buona quantità di commenti positivi su questo romanzo. È quindi possibile che sia io a non aver colto appieno le qualità dell'opera. Ma tant'è, per quanto poco gradevole, questa è la mia opinione.

06 maggio 2013

Letture: Tom Waits. Il fantasma del sabato sera. A cura di di Paul Maher Jr.

© giorgio raffaelli
Il fantasma del sabato sera è un volume da fanboy, un libro la cui lettura non è consigliabile a chi già non conosca e apprezzi quello strano soggetto che è Tom Waits. D'altra parte, se non conoscete e apprezzate Tom Waits, cosa ci fate ancora qui? Andate piuttosto ad ascoltarvi un po' di buona musica

Ho conosciuto Tom Waits nel 1985, dopo l'uscita di Rain Dogs. All'epoca quel disco mi parve la cosa più nuova avessi mai ascoltato. Da allora non ho smesso di seguirlo, esplorando la sua produzione precedente, cercando poi di star dietro alla sua continua e sempre più stupefacente evoluzione sonora.

Il fantasma del sabato sera racconta la vicenda artistica di Tom Waits attraverso le interviste che il musicista ha rilasciato nel corso degli anni, interviste che segnano un percorso umano e artistico piuttosto peculiare, e che raccontano, tra le grinze e le smorfie e le storie che Waits riversa sull'ennesimo giornalista, il tentativo di nascondersi e inventarsi, la passione per la musica, la necessità di stare ai margini e perseguire un percorso personale che abbia come primo obiettivo la ricerca di un’espressione singolare, per quanto brutta sporca e cattiva questa possa apparire.
Chi frequenta la musica di Tom Waits conosce bene la svolta improvvisa che la sua carriera artistica ha preso tra la fine dei '70 e i primi '80, è però sorprendente il senso di continuità che emerge dalle interviste raccolte nel volume: Waits non smette mai, nemmeno per un attimo, di raccontare storie, di reinventarsi un passato sempre più nebuloso e al contempo di deviare costantemente la curiosità del pubblico riguardo la sua vita privata. Quel che cambia è il nucleo forte della sua passione, che dopo l'incontro con Kathleen Brennan si focalizza ed esplode in sonorità che si sganciano da qualunque debito avessero con la tradizione da cui derivano per avviarsi verso un'esplorazione sonora che continua album dopo album senza alcun compromesso o concessione al facile ascolto.

Le interviste seguono l'evoluzione di Tom Waits, dall'uscita del primo disco, Closing Time, del 1973, fino a Orphans: Brawlers, Bawlers & Bastards del 2006, ed è molto interessante osservare il percorso di maturazione dell’artista che, nonostante i cambiamenti nell'espressione musicale, mostra una coerenza non comune nell'approccio ai media da un lato e allo show business dall'altro. Tom Waits tiene sempre a distanza di sicurezza l'intervistatore (e il pubblico, più in generale), ma se può apparire scontroso, la sua riluttanza a parlare di sé non diventa mai scortesia, condita com'è di umiltà e consapevolezza, che fare musica non determina di per sé una condizione speciale o privilegiata, ma esprime solo un'innata curiosità. Ed è questo l'aspetto di Tom Waits che più forte emerge dalla lettura di questi incontri con la stampa: un uomo curioso, capace ancora, nonostante gli anni, di continuare a giocare con suoni e strumenti, alla ricerca di stimoli e illuminazioni.

Prima di concludere queste note mi pare cosa buona e giusta lasciarvi con un estratto dall'incontro di Tom Waits con Terry Gilliam, altro soggetto la cui produzione artistica appare esemplare per coerenza e visionarietà.


Tom Waits chiacchiera con il visionario regista Terry Gilliam. Fiere, corvi e fenomeni da baraccone a parte, sembrano due invasati che parlano lingue incomprensibili.

[…] 

È quello che mi frega sempre, della tua musica, fa vibrare il cervello e il corpo in modo diverso. Questo mi eccita e mi spaventa allo stesso tempo, e mi fa scattare tutta una serie di risonanze in testa.
Mi piacciono i dischi vecchi, e quel che mi piace dei dischi vecchi è il rumore di superficie che spesso è meglio della musica in sé, oppure i due combinati insieme che creano una sorta di fantasma. Quando ascolti una registrazione vecchia e gracchiante di Caruso sembra sempre che stia cercando di raggiungerti da lontano e ti fa venir voglia di aiutarlo. In un certo senso vorresti entrare nelle casse.

[La tua musica] è esotica, anche se parla di bifolchi che abitano nelle campagne del... Missouri. Continuano a venirmi in mente le favole ottocentesche dei fratelli Grimm.
Sono lusingato, Terry. Sono contento che ti siano entrate nelle orecchie; i tuoi film mi hanno trasportato in un altro mondo per molti anni. Ho visto [Le avventure del] Barone di Münchausen una cinquantina di volte... Credo sia un buon test per un’opera d’arte, il fatto che riesca a durare nel tempo e ad accompagnarti in modo che tu possa riscoprirla, e che lei possa riscoprire te.

Concordo. Che si tratti di un quadro, di un brano musicale o di una poesia: basta che continui a risuonare.
E poi, ovviamente, amo vedere una suora che galleggia – e il rapporto che ti lega ai nani. È meglio che andare al circo!

È proprio un argomento che ti ossessiona, vero? Le fiere, i circhi e i fenomeni da baraccone.
Credo di essere scappato per unirmi a un circo. Penso fosse proprio quello che volevo ricreare con la musica, e penso che a un certo punto dobbiamo esserci accorti di avere qualcosa di particolare che ci rendeva... diversi.

E poi nessuno al giorno d’oggi esalta l’unicità, il bizzarro, la stranezza o la meraviglia.
Sono d’accordo.

Non so come si potrebbe fare a riportare in auge tutto questo, a distinguerci dagli altri. Forse basta che continuiamo a fare il nostro mestiere.
È come se il mondo a questo punto fosse in mano a tre o quattro cartelli, e ognuno di noi finirà col lavorare per uno o due di loro.

Qual è la tua etichetta... La Anti-?
Si chiama Epitaph. La divisione di cui faccio parte è la Anti-. I suoi artisti sono Joe Strummer... Tricky... Merle Haggard.
È un posto insolito, una specie di ricovero per artisti traumatizzati, credo. È così corretto, sano, onesto. Sai, come quando porti il vestito in tintoria e poi te lo restituiscono per davvero.


[…]

Tutta la musica che hai scritto, per me, somiglia a un dipinto o a un corto cinematografico.
Le canzoni sono film e gioielli per le orecchie.

Quello che fai, e quello che spero di fare anche io, è continuare a dipingere questi quadri per il mondo, con la speranza che una o due persone si accorgano che si tratta proprio della realtà che le circonda. Mi sento come se stessimo lottando contro i poteri forti. Che siano la pubblicità, i media, il cinema – il cinema normale – sono tutti impegnati a fornire una rappresentazione fraudolenta del reale.
C’è una continua battaglia tra la luce e le tenebre. E io continuo a chiedermi se le tenebre non abbiano sempre un asso nella manica.

Perché le tenebre vengono rappresentate come luminose, allegre e divertenti.
È questo l’inganno.

Esatto, è proprio un inganno! Tutti dicono che il mio lavoro è cupo, lo dicono anche del tuo, ma non è vero. Credo invece che sia più vicino alla luce di quello che viene spacciato per tale.
Il cane si morde la coda da tanto tempo.

[…]

Mi fa incavolare l’idea che il surrealismo sia stato completamente svenduto; adesso viene usato nelle pubblicità e per vendere robaccia.
Lo so. Che fastidio.

Ormai è privo di contenuti. C’è un sacco di immaginario ma zero significato. Nei tuoi dischi compaiono spessissimo dei corvi.
I corvi, già: sono gli adolescenti del mondo ornitologico. Dicono che il problema dei corvi è che alle nove hanno già finito di lavorare e hanno troppo tempo libero a disposizione. Trascorrono il resto della giornata a giocare a una versione primitiva del rugby. O a nido libera tutti. Oppure si mettono a blaterare e a ciacolare. A quanto pare non c’è nessuna ragione biologica per questo comportamento... un corvo può starsene fermo, quasi in trance, su un formicaio fino a ritrovarsi totalmente coperto di formiche. Dicono che l’unica spiegazione plausibile è che questa sia una fonte di piacere, una specie di tossicodipendenza.

Scommetto che è così!
E poi rovesciano gli occhi nelle orbite e buttano indietro la testa per guardare il cielo. Dicono che faccia parte del destino di un corvo, perché rispetto agli altri uccelli ha il cervello più grande in proporzione al corpo e ha troppo tempo da sprecare. È inevitabile che inizi a farsi (ridono entrambi).

Meraviglioso.
Hai mai mangiato un corvo?

No, com’è?
Neanche io. O meglio, ne ho mangiati diversi, simbolicamente. È stata una dieta fissa per diversi anni.  

Sì, mi tiene in forma (ridono entrambi).
 (Tom Waits. Il fantasma del sabato sera. Interviste sulla vita e la musica. Estratto da BlackBook, 10 aprile 2002; data di pubblicazione: giugno 2002. Copyright minimum fax 2012, traduzione di Claudia Durastanti)


Bene. È tutto. Vi lascio con un Tom Waits in forma smagliante.
Ecco Hell Broke Luce, estratto da Bad as Me (2011).