28 ottobre 2010

Steampunk is the new flavour!


Picture by Simon Crubellier.
Avevo già espresso i miei timori che il cosiddetto genere Steampunk si consolidasse nella percezione comune come una sorta di fantasy per il XXI secolo.
Mi fa piacere che anche un pezzo grosso come Charlie Stross esprima in qualche modo gli stessi timori.
(Beh… lui lo dice molto meglio di quanto avrei mai potuto scrivere io, ma la sostanza è quella, no?)

27 ottobre 2010

Un report sulla Notte dell'Iguana Vivente, ovvero della buona compagnia


Picture by Iguana Jo.
Un po' per alleggerire l'aria che tira da 'ste parti, un po' perché questo è un bel ricordo da conservare, ecco qua il report sullo stato del' Iguana (ops… della Notte dell'iguana vivente), nelle parole di Marco (certo che bisognerebbe fare qualcosa per 'sto nickname, eh!).
Enjoy!


Arrivo alle 10:04 in Stazione ad Alessandria. Subito squilla il telefonino. E’ Giorgio, l’identità segreta di Iguana, che è già lì che aspetta. E’ uguale alle foto sul blog, non mi sembra un granché come identità segreta, almeno Clark Kent si toglieva gli occhiali. Parliamo un po’ e subito arriva Elvezio. Visto che sul suo blog qualcuno si interrogava sul suo aspetto fisico, dirimo la questione: sembra molto più tamarro che nerd. Hai anche la vaga sensazione che stia per darti una manata agli occhiali e scappare via colla tua merendina. Poi sotto l’influsso dell’alcool confesserà di possedere il team-up dell’Uomo Ragno con Orestolo il Papero, rivelandosi tamarro fuori ma NERD DENTRO.
Partiamo. Giorgio/Iguana non ha molto guardato la mappa, perché gli piace girovagare in auto e sbagliare un po’ la strada, così ha modo di farci sentire la sua compilation delle 20 canzoni
(qui, ma non commentate lì che sennò Urania non vi pubblicherà mai).
Parliamo di musica, fino a che non arrivano le canzoni degli U2 : Uan Loov, Uaan Laaif, Uàan Uàan. Mentre io medito di vendicarmi con un cd di musica post-punk/avant-gard/industrial australiana, Elvezio si sente ispirato a raccontarci il suo ultimo incubo, in cui lui fa l’hostess in un aereo da cui ogni tanto spariscono dei passeggeri (probabilmente tutti avevano fatto spese in un determinato negozio nel centro di Milano). Poi si scopre che c’era una stanza segreta in cui un uomo nudo aveva scuoiato le povere vittime.
Poiché non mi sembra originalissimo e noto qualche falla nella trama, gli dico che mi sembra una sceneggiatura vincente. Taccio sulle evidenti interpretazioni psicanalitiche, che siamo ancora troppo sobri.
Dopo aver sbagliato strada un paio di volte arriviamo a Nizza Monferrato e incontriamo gli altri: Davide e suo fratello e Fulvio e un suo amico che si chiama Marco come me ma è un lurker, cioè una di quelle persone che parlano solo quando hanno qualcosa di interessante da dire e quindi la mia antimateria.
Ci mettiamo a discutere di fantascienza in Italia e all’estero, passando poi alla blogosfera italiana; naturalmente sono discorsi a quattr’occhi che non vanno ripetuti, che i blog hanno orecchie.
Si parla bene dei presenti, bene degli assenti, MOLTO BENE di donne compagne mogli che hanno dato buca all’ultimo minuto: “TESORO, vorrei TANTO ma ho l’emicrania. Ci vai da solo all’incontro coi tuoi amici sfigati, vero cicci?”.
Ripartiamo verso Vaglio Serra. Elvezio incomincia a manifestare segni di allergia da natura, e parla di sacrifici umani nei campi di grano, matrimoni fra consanguinei e mutanti subumani.
Iguana è d’accordo: sarebbe molto meglio se vivessimo all’interno di una astronave della Cultura.
Nel mentre arriviamo ad un rudere abbandonato che non ha molto l’aria del ristorante, ma è perché abbiamo seguito Davide che non sa la strada invece di Fulvio.
Arrivati a Vaglio Serra, scopriamo che è ancora presto. Mentre facciamo un giretto per il paese e Iguana fotografa la ruggine Davide ci spiega: 1) La differenza fra Langhe e Monferrato 2) Tre possibili teorie sull’origine del nome Monferrato 3) Perché in questa zona ci sono molti paesi coi doppi nomi 4) Ogni scarafone è bello a mamma sua, ma se sei un entomologo di fama mondiale a tua madre gli scarafoni non piacciono lo stesso. Finito il giro con sguardo sulla vallata e profezia post-apocalittica è ora di andare a mangiare.
Sul menù lascerei la parola a Davide, perché non ho mica capito se il civet sia un uccello o un marsupiale e se abbia qualcosa a che fare col caffè che ho bevuto dopo. Comunque ordiniamo un tris di primi – ottimi, come del resto il secondo e il dolce al cioccolato con crema di menta, per non parlare del vino.
Discutiamo variamente di fantascienza, qualcuno ancora non ha visto la LUCE su M John Harrison, di comics, della convention a cui è stato Fulvio la settimana precedente, con una esposizione di piedistalli per spade laser, della discriminazione o meno subita dai nerd, della fantascienza in Italia e dei lettori di Urania, e in generale politica universo e tutto quanto. Iguana ha anche portato tre libri in regalo – due son belli ma li ho letti il terzo parla del processo alla Juventus. Sarebbe stato l’ideale per Orlando, ma lui non c’è così ce lo giochiamo io e Elvezio (granata pallidi) ma glielo lascio quando mi rendo conto che degli atti del processo non mi interessano molto, io la Juve la odio sulla fiducia.
Due bottiglie dopo arriva anche il momento di caffè e ammazzacaffè. Fulvio che non ha forse chiaro quest’ultimo concetto vorrebbe ordinare un cappuccino(!) e berlo dopo il liquore, ma lo facciamo rinsavire.
Il Laphroaig è quel tocco di classe che conclude ottimamente il pasto.
Visitiamo poi una cantina sociale, dove io e altri due figuri il cui nome non ripeto assaggiamo ripetutamente tutto il vino che ci finisce tra le grinfie mentre gli altri continuano i loro discorsi intellettuali.
Inizia a piovere, ci si sposta a casa di Fulvio e si continuano i discorsi, fino a che è ora di andare.

25 ottobre 2010

Urania & Me


picture by Franco Brambilla.
Visto che altrove mi si accusa di odiare Urania e di non perdere occasione di darle contro, e dato che non mi interessa mettermi a disquisire sulla correttezza di certe affermazioni (che del resto ormai la mia opinione è viziata dal pregiudizio), mi limito a elencare qualche dato.
Questo il capo d'accusa :
"…nella foga di combattere il Grande Nemico del Fantastico Italiano (vale a dire quella meschina di Urania, Madre di Tutti i Mali), ti sei lanciato a testa bassa contro chiunque ti capitasse a tiro. Inutile fare l’elenco delle persone che hanno collaborato o pubblicato su Urania nell’ultimo anno e che sono finite nel tritacarne, il che rende comunque ormai prevedibili le tue prese di posizione. Ciò che continuo a non spiegarmi è l’ostinazione, che ha assunto i modi e le dimensioni di una vera e propria campagna."

Partiamo con l'esaminare quante volte io abbia parlato dei romanzi o delle antologie pubblicate da Urania e dintorni (Urania, Urania Collezione, Urania Millemondi, Epix) e di come mi sono espresso al riguardo.
Va bene se prendo come periodo di riferimento gli ultimi due anni?
Da gennaio 2009 a ottobre 2010 ho parlato di 26 volumi editi nelle summenzionate collane (27 se consideriamo che il romanzo di Alastair Reynolds è stato diviso in due volumi).
Di queste recensioni, 15 sono state positive, 5 sono state neutre e 6 sono state negative.
Qui di seguito trovate l'elenco dei link, con riferimento agli autori o ai titoli delle antologie. Un segno + sta per recensione positiva, un segno = sta per recensione neutra, mentre un segno - sta per recensione negativa:

Febbraio 2009:
Ken MacLeod = / Robert J. Sawyer +

Marzo 2009:
Joe Haldeman + / Jacques Spitz +

Aprile 2009:
Dario Tonani =

Maggio 2009:
Walter Tevis + / Ken MacLeod =

Luglio 2009:
Robert J. Sawyer + / Mauro Antonio Miglieruolo -

Settembre 2009:
Bad Prisma -

Ottobre 2009:
Ken MacLeod + / L'altra faccia della realtà + / Arthur C. Clarke +

Novembre 2009:
Francesco Verso -

Dicembre 2009:
Samuel Marolla + / Alastair Reynolds -

Gennaio 2010:
Vittorio Catani -

Febbraio 2010:
Anthony Boucher + / Joe Haldeman +

Aprile 2010:
Cordwainer Smith +

Maggio 2010:
Greg Egan + / Nicoletta Vallorani -

Luglio 2010:
Robert Silverberg =


E questo è per sottolineare come non perda occasione di parlar male delle proposte uraniche. (Tra l'altro qualche mese fa ho anche suggerito ai lettori del blog di acquistare e leggere il numero di Urania dedicato a John Harrison, non male per chi viene accusato di promuovere una campagna anti-urania.)



Andiamo avanti.
Oltre a parlare dei singoli volumi usciti per Urania e dintorni, nel corso degli anni ho discusso anche del ruolo avuto da Urania nel definire la percezione della fantascienza in Italia.
In quell'ambito sono stato molto critico nei confronti della rivista Mondatori. (i link sono qui: 1, 2, e 3).
Nonostante quel che pare essere un'opinione diffusa, in nessuna di quelle occasioni ho avanzato alcuna critica agli attuali curatori di Urania. Anzi, mi pare di aver esplicitamente scritto come nessuna colpa possa essere imputata a Giuseppe Lippi o a Sergio Altieri, che sono convinto facciano del loro meglio nei rispettivi ruoli.

Però è vero, tra gli oltre 300 post di questo blog, in quello scritto in data 25 agosto 2010, ho effettivamente criticato lo staff di Urania per i tagli che vengono praticati sui romanzi originali pubblicati dalla rivista. Giudicate voi quanto nelle mie parole siano ravvisabili "… toni sgradevoli […] nel loro voler apparire persuasivi e accondiscendenti mentre tra le righe serpeggiavano accuse di incoerenza, disonestà e opportunismo.".

Questo è quanto.
Aggiungo solo una postilla personale. Credevo di avere le spalle abbastanza robuste da sopportare qualsiasi polemica si potesse scatenare sul mio operato in rete. Nel corso degli anni ho assistito e partecipato ad alcuni momenti davvero terribili che hanno riguardato la vita e le relazioni della comunità fantascientifica nostrana. Ma mai mi era successo di percorrere quella che sembra essere una strada senza ritorno nei rapporti con una persona che ritengo tuttora una delle migliori tra tutte quelle che si occupano di fantascienza in Italia. Persona che per anni ho considerato uno dei miei più cari amici, dentro e fuori il fandom.
Non so come questa storia andrà a finire.
Però è davvero dura da mandar giù…

20 ottobre 2010

Letture luglio/agosto 2010 - terza parte


Picture by Iguana Jo.
Carlo D'Amicis - Escluso il cane
Qualche post fa parlavo di romanzi fighetti, intendendo con questo termine quelle opere in cui la presunzione dell'autore (che questa sia ideologica, artistica o retorica ha in fondo poca importanza) impedisce al lettore di godere appieno del libro che ha tra le mani.
Escluso il cane rientra a pieno titolo in questa definizione.
Ci rientra perché l'autore piega qualunque pretesa di realismo all'esigenza primaria di comporre un'opera fortemente ideologizzata.
Ci rientra per la presenza di un protagonista caratterizzato solo per i suoi difetti, che si vorrebbero magari surrealmente divertenti, ma che alla lunga risultano solo irritanti.
Ci rientra per la sovrabbondanza di spunti problematici - ma tanto, troppo, ammiccanti - che l'autore innesta nel corpo del romanzo senza un approfondimento degno di questo nome (la relazione del protagonista con il suo compagno, con la madre, con il commercialista; la moglie e la figlia del dottore; il sottobosco criminale; lo stesso cane del titolo).

In effetti per quanto l'idea forte del romanzo (il fondamentalismo de noatri, la fede dogmatica, il cinismo cattolico romano) sia condivisibile e apprezzabile, non è certo sufficiente a tenere in piedi un romanzo che stenta a reggersi sulle esili gambe della trama giudiziaria da una parte e del romanzo di formazione dall'altra. Se poi a questi difetti si aggiunge l'idea, non so se dell'editore o dell'autore stesso, di presentare Escluso il cane come un romanzo spiritoso, quando il presunto umorismo tende invece al patetico, si arriva forse a capire la delusione provata da questo lettore.
Un'ultima nota sulla scrittura di Carlo D'Amicis. La scelta di uno stile personale è sempre apprezzabile, non m'era però mai capitato di imbattermi in una tale quantità di parentesi all'interno di un romanzo. Arrivato a fine lettura posso dire che utilizzare l'inciso come unico tratto caratterizzante la propria scrittura non mi pare sia stata una scelta troppo felice.


Stephen King - Shining
Per la lettura di Shining devo ringraziare Elvezio Sciallis, che sulle pagine di Malpertuis ha invitato i suoi lettori a una discussione sul romanzo.
Con l'eccezione della saga della Torre Nera, che sto leggendo in questi mesi, la mia esperienza con i romanzi di Stephen King risale a parecchi anni fa. Avevo più o meno vent'anni quando lessi una manciata dei suoi romanzi. Ma Shining ancora mi mancava. Del resto avevo visto il film, quindi…

La storia della famiglia Torrance credo sia ormai nota ai più. Ma leggerla nella sua versione originale è stata comunque una piacevole esperienza.
Tra le note positive del romanzo c'è l'indubbia capacità di Stephen King di far crescere la suspance, dosando perfettamente gli avvenimenti, calibrando al millimetro i momenti di tensione e sviluppando la storia in un crescendo vertiginoso fino alla risoluzione finale della vicenda.
Certo, l'inizio può apparire un po' lento, quasi traballante nel suo incedere sincopato, due passi avanti e un'occhiata al passato, una sosta di riflessione e uno sguardo laterale. Ma poi la vicenda ingrana, le pagine scorrono veloci, l'azione si fa incalzante.
In effetti un dubbio mi ha accompagnato per buona parte della prima metà del romanzo: se le mie aspettative, in qualche modo frustrate dal passo estremamente lento del racconto, dipendessero dalla conoscenza pregressa di quel che sarebbe successo più avanti. Tanto da non vedere l'ora di assistere alle vicissitudine dei Torrance alle prese con l'Overlook Hotel per partecipare - finalmente! - all'esplosione delle relazioni tra i vari personaggi.

Tra i difetti di Shining vanno evidenziati la ricorsività di certe immagini, che se da un lato costituiscono un legame tra le varie fasi dell'evoluzione dei personaggi (penso per esempio alle vespe, reali o metaforiche, che accompagnano il lettore per tutto il romanzo, o all'alcolismo come epitome di ogni dipendenza, al cui riferimento non sfugge alcun personaggio), dall'altra risultano fin stucchevoli nella loro meccanicità.
Se l'abuso di certe immagini e situazioni appesantisce il passo del romanzo, quello che secondo me è il difetto principale di Shining rimane l'ambiguità con cui King tratta la degenerazione di Jack Torrance. O, per meglio dire, la risoluzione dell'equivoca ambiguità in cui l'autore infila a forza il suo protagonista.
La discesa di Jack Torrance nell'inferno della paranoia è resa magistralmente. Il lettore assiste impotente e partecipe alla progressiva distruzione di ogni freno inibitore alla furia atavica che lo contraddistingue. Stephen King è molto abile a centellinare ogni informazione che possa far luce sulle cause e le motivazioni che muovono il suo protagonista. Proprio per questo motivo non si capisce perché l'autore non riesca - o non voglia - fare il passo definitivo e condannare Jack alla sua dannazione personale, e decida invece di attribuire ogni responsabilità delle sue azioni allo spirito oscuro che domina l'Overlook.
Quanto sarebbe stato più potente e disturbante l'immagine di un padre che insegue il figlioletto sapendo benissimo quel che sta facendo?
Io credo che per la redenzione finale di Jack Torrance siano intervenuti un paio di fattori non secondari. A me piace pensare che la sovrapponibilità biografica tra autore e personaggio deve aver costituito un legame non facile da tagliare, ma poi, più razionalmente, penso alla considerazione, tutt'altro che marginale, sulla commerciabilità della sua narrativa, che Stephen King ha sempre avuto ben chiara nella sua carriera. Dopotutto un finale che limita il coinvolgimento morale del lettore ai minimi termini è decisamente più consolante - e quindi vendibile - di uno che chiede allo stesso lettore di mettere in dubbio le proprie certezze riguardo certi legami famigliari.
E poi naturalmente c'è sempre la possibilità che, con certe premesse, quello fosse l'unico risultato possibile. Del resto non ricordo di aver mai visto Stephen King muoversi al di fuori di una gabbia morale decisamente polarizzata e riconoscibile. Non per nulla i sui personaggi più memorabili si situano sempre in quella fascia d'età compresa tra l'infanzia e l'adolescenza, in cui etica e morale sono perfettamente sovrapponibili e il dubbio si limita all'aspetto più superficiale di qualsiasi scelta.

In ogni caso Shining, pur letto a oltre trent'anni dalla sua pubblicazione, rimane tuttora una lettura piacevole.
Forse soprattutto per chi, come me, pratica il genere horror solo lateralmente e nemmeno troppo spesso.

14 ottobre 2010

Venti canzoni


Picture by Iguana Jo.
Le regole del gioco le ha stabilite Davide qui. Io ci ho messo più di due settimane a sfornare l'elenco che segue: scegliere solo venti canzoni è stato più difficile di quanto credevo (non so più quante volte ho riscritto la lista in questi giorni, e se dovessi riscriverla domani sarebbe ancora diversa).
Ma non posso rimandare oltre, quindi bando agli indugi e via che andiamo.
In rigoroso ordine alfabetico questi sono i venti 45 giri virtuali che non mi stanco mai di ascoltare:

AC/DC - Highway to Hell / Back in Black
Gli AC/DC sono stati il primo gruppo capace di far tremare le casse del mio registratore. Il primo per cui ricevevo pressanti richieste di abbassare il volume. Per molti anni ho smesso di ascoltarli, ma mio figlio li ha appena scoperti. Bon Scott è ancora capace di tenerci buona compagnia.

David Bowie - Space Oddity / Heroes
Anche Bowie arriva diritto dritto dalla mia adolescenza. Ma certe canzoni non le scordi più.
Queste due rimangono tuttora tra le mie preferite.

Nick Cave - The Mercy Seat / Babe, I'm on Fire
Il fantasma di Nick Cave mi perseguita da anni. E sono anni in cui la sua musica è stata un continuo crescendo. Ho scelto The Mercy Seat per la sua carica devastante, Babe, I'm on Fire perché nonostante il disco da cui provenga non sia certo memorabile, la progressione di questo pezzo lo è alla grande.

The Clash - London Calling / White Riot
Difficilissimo scegliere un pezzo, forse ancor più complicato sceglierne due. Ma tant'è. Ecco i Clash.

Eddie Cochran - Summertime Blues / C'mon Everybody
Da qualche parte bisogna pure cominciare. E la musica di Eddie Cochran era la più sporca e cattiva tra i rocker delle origini.
Energia grezza.

Dresden Dolls - Coin-Operated Boy / Girl Anachronism
I Dresden Dolls sono in questo elenco in rappresentanza della musica che ascolto di più in questi ultimi tempi, Se la sono giocata con una delle varie incarnazioni di Jack White e con i Gogol Bordello. Ha vinto Amanda Palmer, ma è stata dura.

Jimi Hendrix - Voodoo Child / Crossroad Traffic
Uno spazio per Jimi Hendrix ci sarà sempre, dovunque e comunque. Questa è storia.

Nirvana - Smell Like Teen Spirit / Come As You Are
Nevermind è stato il primo CD che ho comperato quando mi sono finalmente potuto permettere uno stereo. Una boccata d'aria fresca (si fa per dire) in un periodo in cui facevo fatica a trovare la strada giusta.

Pearl Jam - Rearviewmirror / Once
I Pearl Jam mi hanno regalato uno dei migliori tre concerti della mia vita e tra tutti i loro pezzi Rearviewmirror è la canzone a cui sono più affezionato. Per la B-Side la scelta è stata difficile. Ma Once è il primo pezzo del loro primo disco. E chi ben comincia…

Pink Floyd - Hey You / Wish You Were Here
Ho imparato l'inglese con i testi di The Wall. Anche se ormai li ascolto di rado, e più i primi dischi degli ultimi, un posticino per i Pink Floyd lo dovevo trovare.

Otis Redding - Try a Little Tenderness / (Sittin' on) The Dock of the Bay
Il Rythm & Blues, il Funky, il Soul, sono diventati una parte dei miei ascolti sempre più importante nel corso degli anni. Se il rock nel mio immaginario è rabbia ed energia, la musica nera è passione e godimento. Scegliere un solo autore o una sola canzone è impossibile, ma citare Otis Redding è obbligatorio.

R.E.M. - Everybody Hurts / The One I Love
Di certo i R.E.M. hanno composto canzoni più significative delle due che ho scelto. Ma a queste sono particolarmente legato, Bei ricordi, bella gente, ottima musica.

Sam & Dave - Hold on, I'm comin' / Soul Man
Hold on, I'm comin' risale al 1966 (gran bell'anno, lasciatemelo dire!) e non ha niente del suono patinato tipico Motown che ha dominato la scena R&B negli anni successivi, suono ed etichetta cui si deve il successo della musica nera tra noi visi pallidi. Sono tutt'ora molto grato ai fratelli Blues che me l'hanno fatta scoprire.

Sly and the Family Stone - If You Want Me to Stay / Underdog
Avrei potuto mettere in lista qualche pezzo di Prince, o di James Brown. Ho scelto Sly and the Family Stone per le buone vibrazioni che non smettono di trasmettermi.

Patti Smith - Dancing Barefoot / Because The Night
Patti Smith come i Clash come Nick Cave come Tom Waits è tra i pochissimi artisti che non ho smesso un attimo di ascoltare negli ultimi vent'anni. Scegliere un pezzo o due è una tortura. Beccatevi questi che mi permettono di infilare di soppiatto anche qualcosa del Boss nel mucchio.

Sonic Youth - Teen Age Riot / Sugar Kane
I Sonic Youth sono nell'elenco più per meriti assoluti, che per le singole canzoni scelte. Nel loro caso faccio fatica a isolare un brano dall'impatto complessivo di ogni singolo disco. Per me i Sonic Youth hanno rappresentato la scoperta delle qualità del rumore e il piacere della distorsione. Se devo pensare a un suono che abbia segnato il cambio di millennio, io penso a loro.

Stiff Little Fingers - Alternative Ulster / Tin Soldiers
Fino a pochi anni fa non avevo mai visto gli Stiff Little Fingers dal vivo. Vedere questi pimpanti cinquantenni ancora carichi, divertiti e divertenti, alle prese con le canzoni che hanno formato il mio gusto per questo tipo di sonorità è stata una specie di rivelazione. Provenendo da una terra altrettanto divisa, Alternative Ulster è un inno che m'è venuto facile far mio.

Suicide - Ghost Rider / Frankie Teardrop
La fantascienza che amavo (e che tuttora fa battere il mio cuore) fatta musica. È noto che William GIbson ai tempi di Neuromante ascoltava gli Steely Dan, ma per me il suono dello Sprawl è quello dei Suicide. Shock e poesia, anche senza chitarre.

U2 - One / The Unforgettable Fire
One è La canzone. Forse l'unica in questa lista per cui non ho avuto alcun dubbio. In One c'è tutto. Ma se per voi mancasse qualcosa, lo trovate in The Unforgettable Fire.

Tom Waits - Ol' 55 / San Diego Serenade
Negli oltre quarant'anni di carriera Tom Waits ha attraversato tutto lo spettro sonoro, dal pop al rumore, dal blues all'avanguardia, dal piano alle percussioni. Difficile decidere qual è il mio Tom Waits preferito. Ho deciso di puntare al passato, un po' per l'innegabile nostalgia, un po' perché certe canzoni viaggiano da troppo tempo insieme a me per poterle ignorare.


OK. È tutto. Ma che fatica!

Prossimamente le grandi assenti: le venti canzoni italiane che hanno fatto la (mia) storia. Iniziate a preparare le vostre liste!

06 ottobre 2010

Inception


Originally uploaded by BestLife Movie.
Certo che con un blog che si occupa per gran parte del suo tempo di fantascienza e dintorni diventa quasi obbligatorio spendere due parole su Inception. La sfida è riuscire a scrivere qualcosa di minimamente originale, capace di offrire qualche spunto in più a chi a proposito del film a ha già letto di tutto, a chi si appresta a vederlo e a chi invece si diverte a discuterne. Non so se ci riuscirò. Poi mi direte.

Il film è pazzesco. Ogni commento positivo letto in giro è giusto e sacrosanto. Non per niente quando siamo usciti dal cinema la prima reazione è stata verificare se avessimo una qualche trottola in tasca, che non si sa mai.
Però l'esaltazione immediata che un film come questo suscita non è sufficiente a spegnere qualche domandina fastidiosa, che non ha smesso di riecheggiare in sottofondo per tutta la visione della pellicola.
Lo so, ora mi beccherò del rompipalle integralista e pure un po' ossessivo, però… oh… quando una cosa non la capisco io chiedo.

Mettiamola così. Christopher Nolan è stato bravissimo a costruire un meccanismo narrativo in grado di avvolgere lo spettatore, sia sul piano della complessità apparente della trama (e ci voleva, vista la media da cerebrolesi del cinema popolare che va per la maggiore di questi tempi), sia al livello zero del bombardamento sensoriale, sia - e questa mi pare una novità nel cinema dell'autore britannico - dal punto di vista emozionale.
Sui meriti tecnici di Inception si son già spesi fiumi di byte. La sceneggiature, il montaggio, la messa in scena. Tutte cose formidabili. Stupore e meraviglia conducono lo spettatore per mano fino al degno finale. La struttura stessa del film è talmente coinvolgente che diventa difficile rimanere sufficientemente lucidi e distaccati da notare le incrinature nella costruzione del cinema-sogno nolaniano.

Ma anche se non pregiudicano l'immediato godimento del film, le piccole crepe colte durante la visione di Inception mi hanno lasciato un senso di prurito addosso. E cosa c'è di meglio di un blog per grattarsi via i dubbi?

I bambini.
La presenza dei figli dei Cobb non mi ha convinto fin dalla loro prima comparsa in scena. Per due motivi fondamentali. Tirare in ballo i fanciulli quale motore emotivo di un film è scelta troppo facile. Mostrarceli poi sempre soffusi nei toni blurrati e giallastri tipo nostalgia anni '70, non fa che acuire il senso di incredulità che li circonda. Avendo però a che fare con un regista che fa della complessità un suo punto di forza questa scelta m'è sembrata - almeno inizialmente - volutamente ingannatrice. Quando s'è rivelata effettivamente vera l'esistenza dei pargoli ha rischiato da sola di uccidere tutta l'intricata costruzione del film.
Anche perché quale genitore si ritira da solo nel mondo dei sogni - con tutte le conseguenze del caso - con due frugoletti come quelli che fanno palpitare il cuore di Dom DiCaprio Cobb?

La paranoia.
Ci sta che il gruppo di estrattori capeggiato da DiCaprio sia attivamente ricercato, però ecco, l'inseguimento a Mombasa non fa che confermare la teoria di Mal sugli illusori livelli di realtà (che btw era convincente al punto giusto). Ma questo è un dettaglio critico indotto dalla mia, di paranoia. Non fateci troppo caso.

Il quoziente di letalità dei proiettili.
Non se qualcuno di voi la fuori ha letto Scusate il disturbo di Christopher Brookmyre (se non l'avete fatto, fatelo. Mi ringrazierete). In quel romanzo compare una riflessione che riguarda l'uso delle armi da fuoco nei film d'azione che condivido al 100% e che vi voglio riproporre.
In questo dialogo con la signora Laurence, sua ex-prof d'inglese al liceo, parla il protagonista, Ally McQuade:
" - … Tutte le teorie volano dalla finestra quando guardo un film. Io voglio lasciarmi prendere dalla storia, i cliché la rovinano, ma le convenzioni fanno parte del gioco.
- La sospensione dell'incredulità.
- Già. Qualcosa del genere. Sono pronto a mandar giù qualunque cosa, basta che il film rispetti un certo quoziente di letalità dei proiettili.
- Cioé?
- Ogni film d'azione stabilisce i propri canoni sulle armi da fuoco. In alcuni, ogni proiettile è potenzialmente letale. Persino il vecchio colpo alla spalla può sembrare pericolosamente vicino al petto. In altri, invece, le mitragliatrici sembrano le armi più innocue mai costruite dall'uomo. Per chiarire, a un'estremità dello spettro ci sono i film di Tarantino. Al di là della loro reputazione, lì non si spara molto, per cui quando qualcuno spara, fa sul serio, e di solito il proiettile è mortale. Un alto quoziente di letalità dei proiettili.
All'altro estremo ci sono i film di John Woo: miliardi di proiettili che colpiscono soltanto il vetro. Un basso quoziente di letalità dei proiettili. In un film a quoziente alto, se il cattivo prende di mira qualcuno, ci si devono aspettare litri di ketchup. In un film a quoziente basso, sarà solo una giornataccia per il portiere. A me stanno bene entrambi i tipi, purché le regole vengano seguite come si deve.
" (Scusate il disturbo, Meridiano Zero, traduzione di Vittorio Curtoni)

Con queste premesse Inception pare un film totalmente sballato, con un quoziente di letalità dei proiettili tanto incoerente da risultare indigesto. Sarà un dettaglio, ma per me è un dettaglio capace di compromettere il piacere della visione.
Oltretutto, vedere questi geek del sogno trasformarsi in tiratori scelti, in sciatori provetti, in quelli che a tutti gli effetti sembrano piccoli emuli del miglior James Bond, m'è parso un filo eccessivo. OK che saran cresciuti a pane e PS3 e che dal punto di vista dello spettacolo tutto funziona perfettamente, però…
(Poi è anche vero che se il sogno è mio, me lo gestisco io. Superpoteri, sparatorie e tutto.)


Fortunatamente tutti questi pruriti - che forse condividete, o magari no - non mi impediscono affatto di godere del piacere che comunque un film del genere mi procura. Solo ne avrei voluto di più, e di meglio.
Come dicevo all'inizio del post, queste non sono critiche che intaccano la sostanza di Inception, che rimane un gran bel giocattolo cinematografico, uno di quei film da rigirarsi tra le mani per vedere ogni volta un dettaglio diverso e allo stesso tempo una pellicola capace di proiettarmi in un'altra realtà. Dopotutto essere sommersi da alluvioni sensoriali di tal portata è un po' il motivo che ci porta al cinema.

O no?

05 ottobre 2010

La notte dell'iguana vivente

L'ho già scritto. Per me settembre è il mese più duro dell'anno. Ma ora (finalmente!) è finito e pur con qualche affanno sono in netta ripresa.
Per risollevare definitivamente le sorti di questo povero rettile ci voleva proprio un appuntamento come La notte dell'iguana vivente.
Cosa c'è di meglio che incontrare qualche amico per un pranzo a base di cibo e beveraggi e chiacchiere (più o meno) fantastiche?
L'appuntamento è fissato per sabato 16 ottobre. Tutti i dettagli li trovate qui.
(lo so lo so, in realtà la notte sarà un mezzogiorno di fuoco, però il giorno è lungo e la notte inevitabile)

Ci si vede tra le colline piemontesi!

(Non so chi sia l'autore della foto qui sopra. Me l'ha girata un amico che dovrebbe averla recuperata dal sito del National Geographic. Dovesse saltar fuori il nome del fotografo non mancherò di aggiornare i relativi crediti.)

04 ottobre 2010

Letture luglio/agosto 2010 - seconda parte


Picture by Iguana Jo.
Geoff Dyer - Paris Trance
Ma che libro inutile Paris Trance. Non so nemmeno più cosa mi ha attirato verso questo volume, forse un equivoco sul nome dell'autore, forse la fiducia nell'editore (finora Instar non mi aveva mai deluso). Se ho deciso di leggerlo quest'estate, dopo anni di limbo sullo scaffale dei libri in attesa di lettura, è stato per prepararmi alla nostra vacanza francese, probabilmente a causa del titolo e del bugiardino. Di sicuro mi aspettavo qualcosa di più.
In questo romanzo si raccontano le vite di quattro tizi di cui non mi sarebbe potuto importare meno, delle loro chiacchiere a proposito di cinema e altre amenità, del loro perdere tempo da stranieri a Parigi senza nulla di interessante da comunicare. Il tutto condito con qualche scena di sesso e un sacco di buchi nei momenti potenzialmente più interessanti, con immagini potenti e retoriche gettate in faccia al lettore senza alcuno sforzo di approfondimento (il cervo sanguinante, cazzo!), e un senso di progressiva noia e irritazione man mano che si procede nella lettura.
Se mai m'è capitato di leggere un romanzo fighetto, e per romanzo fighetto intendo quel genere di libro in cui l'autore fa di tutto per convincerti di essere migliore di lettore e personaggi, forte di premesse valide solo nella sua testa (che queste siano il suo presunto talento d'autore, il contenuto imprescindibile del suo testo o la qualità della sua scrittura, è un dettaglio irrilevante al fine del risultato) sbattendosene allegramente di ogni altro aspetto del suo operato, beh… Paris Trance è quel romanzo.


Jonathan Lethem - Chronic City
L'ho già detto quanto ammiro e rispetto Jonathan Lethem? Chronic City è l'ultimo tassello in un percorso che mi pare sempre più chiaro e delineato, che parte dalla fantascienza e arriva alla ridefinizione del quotidiano, passando per il recupero della memoria e il tentativo mai concluso di riconciliare gli opposti aspetti della nostra realtà condivisa.
In Chronic City si assiste al mirabile equilibrismo di Chase Insteadman, ex ragazzo d'oro della televisione americana, preso in mezzo tra tensioni controculturali e sfoggio di potere, tra la vita di strada e quella di Park Avenue, in una città, New York, presa d'assalto da forze incomprensibli e preda di se stessa.
Jonathan Lethem cerca l'ennesima sintesi tra arte e vita, tra ideale e pratica, tra conoscenza e pregiudizio, cercando di accostarsi al potere che muove le cose senza rimanerne soffocato. E lo fa con un garbo e un'umiltà inconsueta, con una compassione per il destino dei suoi personaggi che non diventa mai patetica o paternalista, che vira anzi verso un'apparente freddezza, per rendere accessibile al lettore una zona del disastro che risulterebbe altrimenti insopportabile.
In effetti nella New York messa in scena da Jonathan Lethem mi pare riecheggi molto dello spirito catastrofico ballardiano, con una differenza fondamentale: tanto le rappresentazioni dell'autore inglese erano cliniche, glaciali e distaccate, tanto quelle dell'americano risultano emozionanti e partecipate. Come se Lethem avesse deciso di esplorare la zona dall'interno, rifiutando il ruolo di semplice osservatore, cercando come Ballard di penetrare i meccanismi del spazio interno ribaltandoli nell'architettura della città e nelle relazioni tra i suoi abitanti, ma lasciando che l'umanità randagia delle sue storie sporchi (e arricchisca!) il panorama, piuttosto che offrircene uno spaccato documentaristico scevro di ogni possibilità di redenzione.
Chronic City è un racconto sul destino della nostra civiltà, sulle contraddizioni che la mantengono al limite dal suicidio, a guardare il cielo, a riconoscere uno schema, e quindi a costruirci sopra, costi quel che costi.
Chronic City è un tentativo di sopravvivenza.