27 settembre 2009

Letture luglio/agosto 2009 - terza parte


Picture by Iguana Jo.
Kem Nunn - Surf City
Parlando di questo romanzo sembra sia doveroso citare Un mercoledì da leoni e/o Point Break. Fatto.
Proseguiamo.
Surf City è un romanzo interessante, forse più per il suo valore storico (il romanzo risale alla prima metà degli anni '80 del secolo scorso) che per le sue qualità letterarie. All'epoca dei fatti io non avevo neanche vent'anni, e la California era un mito. Le bande di motociclai americani un'immagine cinematografica, il punk qualcosa che suonava duro e potente dalle cassette nel registratore, il surf erano i Beach Boys e i ragazzoni biondi abbronzati sulla spiaggia. Ero messo insomma più o meno come il giovane protagonista del romanzo.
Poi si cresce e a quel punto le differenze tra la West Coast e il South Tyrol si notano tutte. Ma non divaghiamo. Il punto è che la parte di Surf City dedicata ai turbamenti del giovane Ike Tucker, che da giovane provinciale in missione familiare si trasforma in proto-surfer tutto sesso droga e (poco) rock'n'roll è decisamente superiore alla media. Tanto da dover notare con dispiacere la piega da action-thriller che prendono gli avvenimenti narrati da Nunn nel finale del romanzo. In effetti l'evoluzione della personalità del protagonista è scandita da tutti gli episodi canonici (rituali verrebbe da dire) di un percorso di formazione tipico come questo porta con sé, ma la qualità per cui questo Surf City si fa ricordare è la partecipata tenerezza con cui l'autore segue i suoi personaggi, condita alla resa davvero credibile del mondo delle spiagge californiane divise tra la luce splendente delle culture del surf e l'oscurità di chi da quella stessa luce è rimasto accecato.
Due note a margine del volume: nel libro si fa un gran parlare di punk, però non si cita un gruppo, un disco, una canzone. M'è un po' dispiaciuto, ma credo che l'approccio al punk del romanzo, visto comunque sempre dall'esterno, come stile di vita più che come genere musicale - del resto siamo ancora nella prima metà degli eighties - sia il migliore possibile. Senza ammiccamenti o riferimenti pretestuosi.
I paragoni cinematografici citati all'inizio sono effettivamente perfetti per il romanzo, in un'ideale percorso che dagli anni '60/'70 di Big Wednesday porta agli anni '80 di Surf City, fino ai '90 di Point Break. Però a me piace pensare questo romanzo vicino a un altro film di quegli anni, perchè il Preston del romanzo m'ha ricordato in qualche modo il Motorcycle Boy di Rumble Fish (aka Rusty il selvaggio).
Ah… brutta cosa, la nostalgia.


Lloyd Jones - Il libro della gloria
Se non avessi cominciato a giocare a rugby questo libretto non avrebbe mai attirato la mia attenzione. In effetti l'agiografia laica, trasparente fin dal titolo de Il libro della gloria credo possa suonare ben poco attraente al di fuori del cerchio dei veri credenti per cui il mito del rugby è il pane quotidiano. E invece giudicandolo secondo questo metro mi sarei perso un'ottima lettura.
Il libro della gloria è in effetti un gran bel libro anche per chi di rugby non sa nulla: il viaggio dei primi All Blacks alla conquista delle isole britanniche, raccontato in maniera esemplare da Lloyd Jones, va ben oltre la celebrazione di un mito sportivo. Questo libro ha il sapore della storia quotidiana di un epoca lontanissima, ma è anche un esempio meraviglioso di scrittura appassionata e sobria, luminosa e concreta. Lloyd Jones non si dilunga in descrizioni o racconti, ma narra l'epopea di questi ragazzoni neozelandesi con una serie di istantanee e un ritmo cadenzato fatto di immagini e oggetti e momenti, in cui le ricostruzioni dell'autore e la verità storica di articoli di giornale e resoconti d'epoca si mescolano sulla pagina per rendere indimenticabile la storia di una squadra che grazie al rugby è diventata leggenda.


Vernor Vinge - Universo incostante
Il più famoso romanzo di Vernor Vinge prometto molto, ma arrivati in fondo mantiene poco delle grandiose premesse iniziali. L'inizio di Universo incostante è sfolgorante: il prologo, la presentazione di personaggi e società aliene, la densità di idee e creazioni, tutto l'apparato narrativo-immaginifico messe in campo dall'autore lasciano presagire un romanzo grandioso. Una space opera al livello di un Iain Banks per intenderci, autore che per me rimane la pietra di paragone per simili romanzi.
Purtroppo, man mano che la vicenda procede, l'autore sembra perdere sempre più il controllo sia della materia narrata che della personalità dei suoi attori. Quando appassionandoti a una storia avverti il continuo rimandare lo showdown finale per motivi che ti sembrano via via più pretestuosi, e soprattutto mai all'altezza delle aspettative che l'autore stesso ha saputo creare, arrivi a fine lettura con un po' d'amaro in bocca per quel che un romanzo simile poteva rappresentare.
Di Universo incostante rimangono le ottime idee iniziali: gli Artigli, i cui aggruppi sono davvero un'ottima invenzione, la sorprendente ma credibile divisione del cosmo in regioni caratterizzate da costanti fisiche differenti, i rapporti tra culture e società più o meno evolute.
Ce n'è abbastanza per divertirsi, ma non a sufficienza per entusiasmarsi.


AA.VV. - Bad Prisma
Quando i buoni propositi si scontrano con la dura realtà. Ma non voglio ripetere quando già scritto qui. Se volete approfondire il discorso su Bad Prisma lo spazio commenti di quel post è a vostra disposizione.


17 settembre 2009

Letture luglio/agosto 2009 - seconda parte


Picture by Iguana Jo.
Avevo tutte le intenzioni di aggiornare il blog con maggiore assiduità e invece a causa dell'improvviso picco lavorativo di questo inizio settembre il mio tempo-rete si è drasticamente ridotto e quel poco che m'è rimasto se n'è andato nel tentativo di fronteggiare le reazioni al post su Bad Prisma. Ora che la situazione sembra essersi acquietata rieccomi con la seconda parte dell'elenco delle letture di luglio e agosto. A breve (spero!) la terza e ultima parte.
Prima di iniziare coi libri voglio ricordare Jim Carroll, che se n'è andato la settimana scorsa.
Carroll era un outsider della scena letteraria e musicale americana, ciò nondimeno i suoi Basketball Diaries mi hanno lasciato un ottimo ricordo di 'sto ragazzo strafatto di droga e poesia.

Roger Deakin - Nel cuore della foresta
Esiste una parola per definire la nostalgia per qualcosa che in fondo non ci appartiene? Roger Deakin con questo libro compie un piccolo miracolo: rendere i luogo sconosciuti oggetto delle sue esplorazioni più familiari di quelli che ti circondano quotidianamente. Ci riesce grazie a una combinazione unica di curiosità e competenza, passione e umiltà.
I pezzi che compongono questo volume (dai racconti di viaggio in Kazakistan o nel bosco dietro casa, agli incontri con artisti, ai reportage su mestieri in via d'estinzione) tracciano le coordinate di un mondo verde in costante trasformazione in cui il legno nelle sue più diverse declinazioni, dall'albero alle foreste, agli oggetti di uso più o meno comune, diventa incontrastato protagonista.
Grazie a questo libro ho riscoperto il piacere dell'osservazione curiosa del verde che mi circonda. A fine lettura mi sono ritrovato a guardare gli alberi con una consapevolezza diversa, che fossero gli abeti e i larici di una foresta alpina, i salici e le betulle sulle sponde di un lago o i tigli e le querce di un parco cittadino.
Nel cuore della foresta è un volume pieno di piccole meraviglie, in cui probabilmente l'unico difetto è la mancanza di una mappa che permetta di seguire più agevolmente i vagabondaggi di Deakin, specie quelli tra le foreste britanniche.


Joe R. Lansdale - La morte ci sfida
Ecco il Lansdale che preferisco. Quello che non indaga le profondità dell'animo umano né si attarda nel moralismo da bravo ragazzo del sud, ma che invece mantiene dritta la barra del timone narrativo puntando ai fatti e alle invenzioni, condendo violenza, ritmo e atmosfera in una miscela di generi che colpisce il lettore come un uragano del Texas. Ne La morte ci sfida c'è il West, l'eroe solitario in cerca di pace e redenzione, la bella del villaggio e un sacco di zombie. Allacciatevi le cinture di sicurezza, che qui si viaggia a vista!


Haruki Murakami - La fine del mondo e il paese delle meraviglie
Che fine ha fatto il cyberpunk? Possibile che a distanza di venticinque anni non sia rimasto nient'altro che un unico romanzo a memoria di un movimento che all'epoca sembrava davvero rivoluzionario? Forse che davvero i suoi aspetti visuali e modaioli hanno soppiantato nell'immaginario quanto di buono quegli autori avevano creato a livello letterario? Chi si ricorda fuori dalla cricca fantascientifica di personaggi come Rucker, Maddox, Shirley, Cadigan, Laidlaw?
Eppure qualcosa di buono quegli scrittori devono averlo fatto, che le suggestioni di questo vecchio romanzo di Murakami Haruki arrivano per buona parte dallo stesso brodo primordiale da cui sarebbero emersi più tardi altri autori importanti come Jonathan Lethem o lo stesso David Foster Wallace. Non voglio sopravvalutare la rilevanza dell'input fantascientifico nella creazione del romanzo di Murakami, solo sottolinearne l'importanza per ancorarne il soggetto a un sentire popolare allora molto diffuso. Del resto La fine del mondo e il paese delle meraviglie è una sintesi pressoché perfetta tra opposti attrattori. Così, se il confronto tra scrittura alta e letteratura di genere è uno dei possibili motivi d'interesse del volume (ma non certo il più originale o innovativo), altrettanto interessanti risultano essere le miriadi di dettagli posti in apparente contrasto tra loro e quindi distillati in una visione, questa sì parecchio più originale delle parti di cui è composta.
Nel romanzo la consistenza tecnologica e le meraviglie cibernetiche della Tokyo futura descritta nei capitoli dedicati al Paese delle meraviglie fanno da contraltare alla quiete della misteriosa enclave in perenne e fantastica stasi descritta nelle parti del romanzo ambientate nella terra desolata alla fine del mondo: tanto il primo è un mondo realistico in cui la lotta per la sopravvivenza è all'ordine del giorno, quanto il secondo appare il frutto di un escapismo portato alle estreme conseguenze. Nel mondo "reale" tutta l'azione avviene al coperto, in glaciali palazzi o in oscuri sotterranei, mentre ne la fine del mondo un ambiente naturale, sempre in qualche modo ostile e tenebroso, non manca mai di accompagnare gli spostamenti e le riflessioni del protagonista. Nella città la violenza, i sentimenti e le iniziative personali costituiscono l'humus da cui si originano tutte le storie; nel misteriosa localtà alla Fine del mondo i sogni e le ombre sono le uniche espressioni di umanità residue.
Se il primo è un mondo decisamente fantascientifico, il secondo è assolutamente fantasy (al lettore le riflessioni sui pro e i contro dei relativi universi narrativi). Ma, come scrivevo sopra, Murakami non è uno scrittore di genere. Sebbene le caratteristiche fantastiche siano decisamente funzionali al romanzo e approfondite in maniera esemplare, il nucleo de La fine del mondo e il paese delle meraviglie sta nelle peripezie fisiche e sentimentali del protagonista, sempre in bilico tra un individualismo che lo conduce inevitabilmente alla marginalità sociale ed emotiva e un coinvolgimento sempre più estraniante con il mondo circostante. La ricerca di un equilibrio lo condurrà fino alle estreme conseguenze, nel tentativo radicale di conciliare razionalità ed emozioni, cercando nel frattempo una soluzione al dolore del mondo.
La struttura binaria totalizzante de La fine del mondo e il paese delle meraviglie porta naturalmente con sé il rischio di un eccessivo schematismo. Sebbene in alcuni momenti l'alternarsi tra i due mondi risulti un po' troppo meccanico, la grazia di Murakami Haruki, la scioltezza della sua scrittura, il suo passo lieve ma sicuro, sono tali da incantare il lettore ben oltre l'ultima pagina del romanzo.
Ed è quasi un dispiacere notare che successivamente anche Murakami ha in qualche modo normalizzato, se non la scrittura, quasi sempre ad altissimo livello, almeno gli aspetti più fantastici del suo orizzonte narrativo.

03 settembre 2009

Bad Bad Prisma


Picture by Iguana Jo.
Interrompo per un momento l'elenco delle letture estive per un post dedicato all'ultimo libro letto nel torrido agosto 2009.
Certo, potevo inserire queste note nell'elenco insieme alle altre, ma credo che Bad Prisma meriti un trattamento privilegiato. Non è forse vero, fantasy a parte, che la letteratura di genere in Italia ha vita difficilissima? Che i pochi coraggiosi autori che si dilettano a creare storie e personaggi più o meno spaventosi hanno vita grama quasi quanto quelli che insistono a scrivere fantascienza? Che gli sbocchi editoriali si contano sulla dita di una mano mozza?
Bad Prisma poteva essere l'Occasione per rompere il muro. Un'antologia pubblicata da un Grande Editore distribuita in migliaia di copie in tutta la penisola. Un libro per il Grande Pubblico, finalmente in grado di apprezzare l'arte altrimenti sotterranea di questa schiera di grandi Autori nostrani.

Beh… dopo aver letto fino all'ultima pagina Bad Prisma mi chiedo se le colpe della scarsa considerazione di cui gode la scena horror / fantascientifica italiana siano solo degli editori. O se non sia invece cosa buona e giusta stendere un velo pietoso sulle capacità di comporre narrativa non dico memorabile, ma almeno interessante, di questi virgulti del gotico nazionale.

Ancor prima di accennare ai racconti sarà il caso di sottolineare che a mio parere Bad Prisma è indecente (sì sì, ho scritto proprio indecente) soprattutto in quanto prodotto editoriale nel suo complesso. Dalla lettura del volume non ho ben capito chi sia il responsabile ultimo dell'operazione. Chi ha scelto i racconti, chi li ha letti, chi li ha controllati. Il nome di Danilo Arona è speso abbondantemente, ma non sono sicuro che sia lui l'unico responsabile dello sfacelo. In ogni caso, chiunque sia stato a occuparsene, vorrei che sapesse che dal punto di vista della cura editoriale credo che questa sia la peggiore antologia mi sia mai capitato di leggere.

Pensate che sia troppo drastico? Che qualche oscuro preconcetto abbia offuscato il mio giudizio? Allora vediamo di entrare nel cuore di questo prisma molto molto cattivo. Parliamo dei racconti. La qualità generale è davvero bassa. Di racconti buoni ce n'è uno: Il tratto nero (Giacomo Cacciatore, che ci fai in mezzo a 'sto pastrocchio?). Un altro si salva per il notevole capovolgimento finale (l'autore è Gianfranco Nerozzi, che evidentemente non è l'ultimo arrivato), ma la maggior parte dei partecipanti si accontenta del compitino più o meno dignitoso, più o meno - solitamente molto meno - originale.
La caratteristica di Bad Prisma che però mi ha davvero indisposto nei confronti del volume è la sequela incredibile di errori grossolani, ignoranza spicciola, pressapochismo dilagante e incuria che caratterizza la maggior parte dei racconti.
Abbiamo personaggi che nel giro di un paio d'anni raddoppiano la loro età, un settantenne che da bambino - negli anni 40/50 del secolo scorso - indossa t-shirt dell'Uomo Ragno mentre assiste il padre rimasto vittima di un incidente sulla A13 (già…), racconti che passano con noncuranza dalla prima alla terza persona e ritorno. In altri racconti, peraltro interessanti (penso a la La forcella del diavolo) si dimostrano conoscenze per lo meno approssimative di storia e geografia. In un altro, Melissa Project, probabilmente il racconto peggiore dell'intero volume (e non era facile!), il cumulo di illogicità, la crassa ignoranza della materia narrata e la pura e semplice incapacità compositiva raggiunge l'acme con una storia di fantascienza che solo a ripensarci c'ho i conati.
Poi c'è il grande nome, ovvero Alan D. Altieri, con un racconto che spacca il culo ai passeri you blooda muthafucka (cioè, ok… era per adeguarmi al suo stile) ma che insomma mi ha lasciato un paio di dubbi: perché i suoi personaggi passano con tanta disinvoltura dall'italiano all'americano? A 'sto punto non era meglio lasciare tutti i dialoghi in lingua?. E poi per quale motivo in un racconto il cui fulcro è il pessimismo apocalittico di una realtà devastata dall'intervento armato dell'uomo si presentano armi e tecnologie belliche con tanto declamatorio entusiasmo? Sono l'unico che avverte una qualche morbosa contraddizione?

Di esempi altrettanto edificanti sul valore medio dei racconti di Bad Prisma ce ne sarebbero ancora a pacchi, ve li risparmio (e me ne risparmio la rilettura, che ho già dato). La cosa più sconvolgente, a dimostrazione di una mancanza di professionalità fuori misura, è che la maggior parte di questi, chiamiamoli passi falsi, in cui si incappa nel corso della lettura è immediatamente percepibile. Com'è possibile che un progetto programmaticamente ambizioso come questo venga mandato alle stampe e distribuito in queste condizioni?

Ma lì in Mondadori non avete proprio nessuna vergogna?