26 marzo 2008

Il futuro è sporco


Picture by Iguana Jo.
Non so voi, ma io mi sono sempre chiesto da dove arrivi all'autore l'idea per le copertine dei libri che leggo. O meglio, mi son sempre chiesto in che modo fossero legati immagine e testo.
In alcuni casi la risposta è sin troppo ovvia. Ma in altri la suggestione è più misteriosa, per arrivare poi all'estremo opposto in cui non c'è proprio alcun legame tra immagine di copertina e il contenuto del volume.
Le cose si fanno ancora più interessanti quando mi capita tra le mani un volume illustrato. Non che succeda spesso, anzi. Ultimamente gli unici casi del genere riguardano le uscite di Robot. Anche in questo caso le risposte sono quasi sempre piuttosto immediate. Le illustrazioni che accompagnano i racconti rappresentano solitamente una sorta di visualizzazione delle immagini reperibili all'interno della storia stessa.

Se parlo di copertine, illustrazioni e fantascienza il motivo è prevedibile: questo mese ha visto finalmente la luce Frammenti di una rosa quantica , l'antologia di racconti fanta-connettivisti che ho avuto la ventura di illustrare con le mie immagini.
Quando si tratta di fotografia e fantascienza sono piuttosto incosciente. Quindi, nonostante la mia esperienza nel settore sia pressoché nulla, quando mi è stata chiesta la disponibilità per collaborare a questo progetto non me lo sono fatto ripetere due volte. Lascio a chi leggerà l'antologia ogni giudizio sulla qualità delle immagini (ogni feedback è più che benvenuto!), qui voglio provare a raccontare come sono nate la illustrazioni che corredano i racconti.

Il primo obiettivo che mi sono posto è stato quello di abbandonare l'iconografia fantascientifica classica.
Quella iconografia che rappresenta un futuro tutto plastica e metallo lucido, in cui le linee aerodinamiche di palazzi o astronavi si confrontano con gli spigoli di tecnologie improbabili, armi minacciose e oscuri macchinari alieni.

Nelle mie immagini ho cercato di raffigurare il futuro (se la fantascienza si deve occupare del futuro) per come lo immagino: più vicino a una pozza protoplasmatica di rifiuti organici che a un grattacielo svettante sulle umane miserie, con la fotografia a evocare un tempo le cui fondamenta sono piantate nelle rovine accumulate nel corso dei secoli, uno spazio in cui qualche sprazzo di luce e di vitalità sarà sempre presente, ma in cui anche la più piccola speranza di redenzione si dovrà continuamente confrontare con un fardello sempre più gravoso di ricordi e fallimenti, di sogni riciclati e ideali duri a morire.

Quando con Kremo ci siamo accordati per le modalità tecniche di realizzazione delle immagini la prima cosa che ha fatto è stata spedirmi (quasi) tutti i racconti che avrebbero poi composto l'antologia. Questo per aiutarmi a creare il giusto accompagnamento alle storie che avrei dovuto illustrare.
Riflettendo su quale sarebbe stato l'approccio migliore, sono partito dal presupposto che le mie immagini avrebbero anticipato il racconto, costituendone una sorta di premessa. Non avrebbe quindi avuto molto senso provare a rappresentare un particolare passaggio delle pagine successive. Oltretutto mi ero ripromesso di evitare, per quanto possibile, la trappola dell'immagine didascalica, come pure di anticipare al lettore qualche aspetto della trama.
A costo di peccare di eccessiva confidenza ho deciso di non leggere il materiale narrativo. O meglio: di ogni racconto mi sono limitato a leggere gli incipit, le prime righe o qualche paragrafo, giusto per lasciarmi suggestionare dall'atmosfera con l'intento di riproporla poi in ambito visivo, senza essere legato in maniera più concreta al contenuto dei racconti stessi.
Non so se il risultato è all'altezza delle aspettative, siano esse quelle degli autori dei racconti o quelle dei lettori che si imbatteranno nelle immagini tra una storia e l'altra. Io sono moderatamente soddisfatto delle mie realizzazioni. Non tutte sono pienamente riuscite, qualcuna va forse un po' troppo fuori dal tracciato del racconto che accompagna, ma di almeno un paio sono davvero orgoglioso.
Insomma, per essere la mia prima volta non è andata troppo male.


19 marzo 2008

Arthur C. Clarke


Originally uploaded by jadc01.
Ieri Arthur C. Clarke ci ha lasciati.
Aveva la bella età di novant'anni e da decenni aveva lasciato la natia Inghilterra per trasferirsi nello Sri Lanka.
Con lui se ne va uno degli ultimi autori che hanno fatto la storia della fantascienza fin dalle sue origini.


Tra i ricordi migliori di quel periodo meraviglioso in cui la fantascienza era per me ancora tutta da esplorare svetta Incontro con Rama, ma credo sia davvero difficile stabilire quale possa essere il suo romanzo migliore.
Le sue sono solide storie di esplorazione, con una forte componente scientifica e speculativa, ma al contempo sono opere piene di meraviglia, capaci di esplorare le possibilità e il mistero del futuro riuscendo nello stesso tempo ad essere avvincenti e stimolanti.
Memorabili sono anche i racconti di Clarke, fulminanti per la capacità di illuminare con la sola forza dell'evidenza scientifica le pieghe più oscure della nostra civiltà. Tra questi bisogna citare almeno La stella o i Nove miliardi di nomi di dio.

Escludendo 2001 Odissea nello spazio con i vari seguiti più o meno dimenticabili, non c'è molto di Clarke disponibile al momento in libreria. Alcuni dei suoi migliori racconti sono reperibili nelle antologie della serie Le Grandi Storie della Fantascienza edita da Bompiani a partire dall'ottavo volume (dedicato al 1946).
Se vi doveste imbattere in qualche suo romanzo in giro per bancarelle o in qualche negozio di libri usati non lasciatevelo scappare.

Per approfondire la conoscenza con l'autore inglese vi rimando a questo speciale di Delos pubblicato qualche anno fa.


17 marzo 2008

Il samurai di Melville


Originally uploaded by Bally_Hoo.
Questo post è un po' un azzardo. Lo è per una serie di motivi che si possono riassumere nella mia ignoranza del contesto in cui va collocato il tema del post stesso. D'altra parte chiacchierare di cinema è un passatempo interessante, in cui nessuno, per quanto titolato, ha ragione a prescindere. Un campo in cui la verità è solo un'opinione, tanto più credibile quanto più coerenti saranno le parole espresse con quanto effettivamente visibile nel film oggetto del discorso.

Se son qua a parlare del samurai di Jean-Pierre Melville (anche se in qui da noi è passato con il roboante titolo di Frank Costello, faccia d'angelo) è grazie alla visione di di Non è un paese per vecchi e alla successiva discussione con Alessandro Baratti che nella sua recensione (Money for Nothing) suggeriva curiosi paragoni tra il film dei fratelli Coen e il noir anni '60 del francese.
Il paragone era suggestivo, ma del cinema francese di quegli anni non so praticamente nulla (ok, i nomi grossi li conoscono tutti, ma io di film dell'epoca ne avrò visti in tutto una decina…) e quindi via, guardiamoci 'sto Melville.

Prima di chiedere ad Alessandro cosa si fosse fumato per azzardare un parallellismo tra Melville e i Coen che nemmeno Nadia Comaneci, devo comunque ringraziarlo per l'opportunità che mi ha dato di conoscere Frank Costello. Uno di quegli incontri che poi ti chiedi come hai fatto a non averlo mai sentito nominare prima.
Perché una cosa va detta subito: Le Samuraï (titolo originale del film di Melville), è tra i film più cool sia dato di vedere. Ogni dettaglio, dal protagonista, al suo abbigliamento, dalle stanze d'albergo desolate al night club, fino ai poliziotti e ai mandanti, sbarluccica di tale fighitudine che rischia seriamente di abbagliare lo spettatore. Non una parola di troppo, non un gesto inutile, le facce da duri e la sigaretta sempre accesa. Accidenti! Se non fosse stato per quel goffo tentativo di intercettazione ambientale, che strappa un sorriso, e per quel maledetto uccello in gabbia, che invece suscita sensazioni opposte, il film è di una glacialità da lasciare senza parole.
Ecco, forse questa freddezza di esecuzione è la vera forza di Melville, ed ecco anche il motivo per cui ogni paragone con il cinema dei Coen mi pare fuori luogo.
Ma come? non è proprio la freddezza una delle caratteristiche dei fratellini americani? Certo, solo che l'utilizzo che ne fanno è antitetico rispetto a quello del francese.
I fratelli Coen fanno letteralmente di tutto per lasciar fuori le emozioni dai loro film, l'incapacità di sentire è una caratteristica fondante del loro cinema, l'assenza di qualsiasi coinvolgimento, il muoversi pressoché casuale dei loro personaggi è finalizzato al caos, che per gli autori mi pare sia il carattere qualificante tutta l'umana esistenza.

Tutto il contrario insomma della prospettiva di Melville. Per il regista francese i silenzi, l'incapacità di relazione, la solitudine non fanno che accentuare il profondo romanticismo del suo protagonista. L'ossessione per il controllo totale (si dia un'occhiata agli improbabili mazzi di chiavi che i personaggi si portano in giro), la ricerca dell'esecuzione perfetta, la mancanza di qualsiasi dettaglio superfluo, l'algida sensazione di assenza supportata da una fotografia che privilegia i toni freddi del blu e del verde, sono alcune degli indizi che l'autore semina lungo il percorso per confermare nello spettatore la presenza di uno schema, di una logica magari oscura, che permette però di trovare un senso ultimo alla vita dei suoi personaggi. Lo stesso finale non fa che confermare la necessità di un codice a cui rapportarsi, che possa dare un senso "oggettivo" alla propria esistenza altrimenti vuota.

In definitiva a me pare che Melville svuoti il film per renderlo il più pieno possibile, mentre i Coen li riempiono di ogni dettagli, anche il più superfluo per mettere in scena tutta l'assenza di senso di cui sono capaci.
Non potrebbero muoversi su binari più diversi. Chissà se la loro destinazione è la stessa?

08 marzo 2008

Donne


Picture by babeffe.
Oggi è l'otto marzo, festa della donna, e quella che segue è una storia che racconta il senso di questa data. L'ha scritta la mia amica Lui un paio d'anni fa. Nel frattempo abbiamo scoperto che quell'episodio non è realmente successo, ma nonostante le cose non siano andate esattamente così, le parole della Lui non hanno perso nulla della loro forza.
Io sono convinto che siano le storie più ancora della Storia a fare di noi quello che siamo. Per questo motivo il racconto della Lui rimane per me molto più vero e vivo di molta della retorica che accompagna questa giornata.
Buona lettura.


1908: come unghie a graffiare vetro nero

Erano arrabbiate. Tristi, erano sfruttate. Vivevano come animali, lavoravano come schiave. Non avevano diritti, solo doveri. Non avevano un compenso che si potesse chiamare paga. Poi, altro. Di peggio. Erano donne. Erano niente. Erano carne da macello.

Una di loro alza la testa. Quale sarà stata la causa scatenante? Un figlio ammalato, la dignità ancora una volta calpestata da una mano addosso, la stanchezza che non permette un razionale pensiero? Comunque, una di loro alza la testa. Basta. Pensa. Basta. Dice. Basta. Urla. Altre donne alzano la testa. Alcune per zittirla, perché non possono rinunciare a quei quattro soldi, e non hanno mai pensato di poter vivere in maniera diversa. Ma altre no, si uniscono. Basta. La voce si alza, le braccia si incrociano. Mi immagino il “padrone”. Cazzo vogliono, queste. Cazzo dicono, cazzo fanno. Dovrebbero ringraziarmi, dovrebbero baciarmi i piedi.

L’urlo è alto, le braccia si uniscono, le donne spengono le macchine, non producono. Non solo. Parlano. Di cose assurde, di dignità, di compenso, di orari, di diritti. Parlano. Poi si alzano ed escono. Da quella fabbrica fumo polvere sudore ansia sfruttamento. Escono e guardano in alto. Quanto tempo è che non vedono il sole? quanti anni sono che entrano col buio della notte ed escono col buio di quella successiva, e via a correre, e via a lavorare e via a preparare lavare accudire via via via. Escono e c’è il sole. Alzano la faccia a quel calore, nonostante sia ancora freddo.

Il giorno dopo ancora. Le donne ci tornano, in fabbrica, ma parlano. Dicono cose che fanno pensare. Le parole sanno di pulito, di bello. Sanno di una vita che forse, ecco, forse sarebbe possibile vivere.

I giorni passano. Le donne guardano con occhi fissi quelli del padrone, ed i suoi urli non sono alti come il loro silenzio improvviso.

I giorni passano, le donne sono più alte, ci scappa un sorriso, ogni tanto, perché la rabbia che avevano dentro sta uscendo fuori, e con quella il veleno che inacidiva il loro viso e la loro vita.

Un sorriso che ha nome: si chiama speranza. si chiama dignità.

E’ ora di uscire. E’ finito l’orario. Si preparano. Vanno alle porte, parlano ancora fra loro. Domani sarà un altro giorno di lotta, ma adesso è tempo di andarsene. Che capisca il padrone che non scherzano. Si piegherà anche lui.

Le porte sono bloccate. Ci provano insieme. Corrono, da una porta all’altra. Niente. Cosa succede. Cosa…urlano, adesso. Prima è rabbia, sono insulti, sono pugni alzati, sono botte a quelle porte chiuse. Poi è paura, che serpeggia, si allunga, prende alla gola. No, non è solo paura. E’ puzza di fumo. Il terrore. Il panico. Donne corrono, si scontrano, i pugni alle porte si fanno forsennati, sangue dalle mani, graffi sui volti, pensieri impazziti, i miei figli, il mio uomo, devo uscire, devo vivere, voglio vivere.

Il fumo diventa fiamme, le fiamme diventano fuoco tutto brucia, tutto: pareti, legno, tutto. I vestiti delle donne, sembrano torce che fuggono, si scontrano contro altre torce, il fuoco nei capelli, la pelle, il dolore, l’odore osceno di carne bruciata…

Tutto si consuma, in quelle fiamme. Una fabbrica, 129 storie personali, ed una storia collettiva.

Mr. Johnson, il padrone della fabbrica, ha bloccato tutte le porte della fabbrica. E poi, è stato dato fuoco. E’ New York. E’ il 1908. 129 donne sono morte. Per credere ad una vita dignitosa. Per ribellarsi ad una condizione disumana. Morte ammazzate, come topi in trappola.

A loro, e a tutte le PERSONE, persone e non solo donne, il mio ringraziamento, per avermi permesso una vita migliore.


06 marzo 2008

Io …err …sono …err …leggend …err


Originally uploaded by ryankg.
Grazie alla segnalazione di Domenico (aka 7di9) ho dato un'occhiata al finale alternativo dell'ultima sciagurata versione cinematografica di Io sono leggenda.

Ora che l'ho visto non so che pensare. Di sicuro questi 7 minuti alternativi non peggiorano il mio giudizio sul film (peggio di così…) ma mi chiedo se davvero gli autori pensavano che sarebbero bastati quel minuto di zucchero e miele (bestiale) per raddrizzare una storia che più banale e retorica e biecamente misticheggiante (la voce diddio! niente di meno!) di così non si poteva? E dire che la prima mezz'ora del film m'era pure piaciuta…

Povero Matheson.

(M'è pure sorto un dubbio; non è che il buon Will Smith scelga gli script a cui collaborare in base alla probabilità di sputtanare il testo originale da cui son tratti? Oltre a Io sono leggenda mi torna in mente Io, robot, ma probabilmente la lista andrebbe approfondita. In confronto a tali magnifici esempi di cinema di fantascienza ci toccherà in qualche modo rivalutare il bistrattato Indipendence Day!)


04 marzo 2008

Rapporto letture - Febbraio 2008


Picture by Iguana Jo.
Letture leggere per febbraio, con qualche sorpresa inaspettata a illuminare la lista:

Tonino Benacquista - Saga
Grazie a Gianluca e Marco che me l'hanno prima consigliato e poi recuperato, ho finalmente letto questo gustoso romanzo del francese Tonino Benacquista. Una sfrenata corsa lungo la china della televisione popolare, nei panni di quattro sceneggiatori di soap lasciati liberi di produrre l'impensabile, con un finale da fantascienza e un sacco di roba interessante nel frattempo. Non avevo mai sentito parlare dell'autore o del romanzo (è uscito per Einaudi nel 1998), ma se siete alla ricerca di un libro divertente sul duro mestiere dello sceneggiatore, beh… questo fa davvero al caso vostro.

Joanne Kathleen Rowling - Harry Potter e l'Ordine della fenice
Quinto capitolo della saga Potter, con tutti i pregi e i difetti dei volumi che lo hanno preceduto. In questo caso la vicenda ci mette davvero troppo a partire, ma quando finalmente decolla non delude le aspettative del lettore.
Pur senza essere particolarmente originale o innovativa la saga di Harry Potter si fa leggere che è un piacere. Prima o poi arriverò fino in fondo…

Theodore L. Thomas e Kate Wilhelm - Clone
L'altra gradita sorpresa del mese arriva da questo Clone che Urania Collezione ha riproposto in edicola nel gennaio scorso.
L'incipit fantascientifico del romanzo è poco più di una scusa per scatenare la belva, che presto tutta la storia vira verso i toni più spaventosi dell'incubo urbano. Gli autori creano un piccolo gioiello di tensione, rimanendo in perfetto equilibrio tra le tentazioni dello splatter e la commossa partecipazione ai destini degli innumerevoli personaggi coinvolti nella scia di distruzione.
Un romanzo secco e spaventoso come non se ne fanno (quasi) più che arriva dritto dritto dal 1965. Da cercare per bancarelle, dove è probabilmente disponibile anche nell'edizione precedente, uscita sempre per Urania con il titolo Dalle fogne di Chicago.

Neil Gaiman - Il cimitero senza lapidi e altre storie nere
Quest'antologia non fa che confermare quanto scrivevo qualche tempo fa: Neil Gaiman dovrebbe lasciar perdere il romanzo serio e continuare a raccontare le cronache del suo mondo fantastico, che le storie che provengono da quelle lande sono davvero memorabili.
Il cimitero senza lapidi e altre storie nere è un'antologia estremamente varia per temi e situazioni, ma in tutti i racconti si percepisce trasparente il tocco di Gaiman, capace trasformare la più quotidiana delle situazioni in una finestra per il fantastico e la magia. Da segnalare il racconto che da il titolo alla raccolta (che è poi un estratto dal suo prossimo romanzo per ragazzi), Cavalleria (delizioso racconto totalmente inglese), Come parlare con le ragazze alle feste in cui Gaiman declina il suo talento in versione fantascientifica e quella cosa strana che risponde al titolo de Il caso dei ventiquattro merli in cui il mondo delle filastrocche inglesi per bambini ci viene offerto in salsa hard-boiled.
Da centellinare più che da leggere.

Philip José Farmer - Notte di luce
Di PJ Farmer ho letto giusto un anno fa il suo Creatori di universi, che non mi aveva entusiasmato.
Le avventure di padre Carmody narrate nei racconti che compongono Notte di luce sono meglio, certo, però sono ben lungi dall'essere una lettura totalmente soddisfacente.
Sebbene riesca a ad apprezzare le tematiche e il quadro generale della sua fantascienza, quando arrivo a finire un libro di Farmer la sensazione dominante è la perplessità, come se mancasse qualcosa, come se avesse sprecato un'occasione. Non so se il mio mancato gradimento dipenda dal fatto di trovare irrimediabilmente datati i suoi lavori, o se invece la causa sia lo scarso approfondimento di personaggi e situazioni con cui imbastisce le sue storie, però il risultato non cambia. Evidentemente Farmer non fa per me.



Anche per febbraio è fatta. Nel prossimo rapporto qualche lettura esotica, con un tour attraverso il corpo e il sangue d'Italia e un viaggio in India. Rimanete sintonizzati.

Seguite il link per le letture di gennaio.